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Gigi Riva e il "no" all'angioplastica, parla il cardiologo: "Intervento di routine"

Claudia Osmetti
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 «L’intervento di angioplastica normalmente è più che di routine». Maurizio Volterrani è uno di quei medici che non ne fanno più. Ha una pazienza infinita e la usa tutta per spiegarti, col linguaggio più chiaro possibile, ogni aspetto del suo lavoro. È un cardiologo, Volterrani. È il responsabile del dipartimento di Cardiorespiratoria del gruppo San Raffaele e fa anche il docente all’università telematica San Raffaele. «In questi casi», dice, «nel giro di una mezz’ora si riesce a “stappare” in pieno una coronaria e a ottenere un flusso cardiaco buono».

Dottor Volterrani, eppure Gigi Riva l’ha inizialmente rifiutata. Possono esserci complicazioni?
«Le complicanze esistono in tutti gli interventi, quindi sì. Ma sono poche e poco pericolose. Quella più frequente si ha quando la parete della coronaria si rompe e bisogna intervenire chirurgicamente. Però di solito tutte le cardiologie che fanno angioplastica hanno una sala chirurgica pronta per l’evenienza, una sorta di “camera di sicurezza”».

Addirittura?
«Faccia conto che nelle strutture maggiori, ogni giorno, si farà anche una decina di angioplastiche. Un’ospedale medio ne fa mille all’anno. E tutti i centri di cardiologia hanno al loro interno l’unità di Emodinamica».

Che cos’è?
«Dove si fanno le angiopolastiche».

Insomma, non c’è molto da temere...
«La interrompo, non c’è. Dopodiché, comunque, esistono situazioni che possono essere più complesse».

A cosa si riferisce?
«A quei pazienti che magari non hanno una sola ostruzione, oppure in cui il trombo è grosso o il vaso è completamente ostruito».

E allora cosa si fa?
«A volte si deve usare persino l’aspirazione del trombo, se è possibile. O delle piccole “frese” che lo bucano pur lasciandolo in sede».

Ma l’angioplastica, di preciso, in cosa consiste?
«È uno dei possibili metodi di riva scolarizzazione miocardica. Serve a riportare il sangue nella parte di musco lo cardiaco che non è più irrorata perché un trombo ostruisce la coronaria».

Cosa comporta?
«Se è temporanea abbiamo un’ischemia, se è permanente ci sarà la morte della cellula, quindi l’infarto».

Non suona del tutto tranquillizzante: poi come si procede?
«Per riportare il sangue al cuore l’angioplastica introduce un catetere che è composto da una guida e da un tubicino di plastica. Si entra di solito tramite un braccio: si sale fino a imboccare le coronarie e si cerca quella che è ostruita. A questo punto si cambia catetere e se ne inserisce uno che con un “palloncino” rompe il trombo sulle pareti, gonfiandosi».

Se il trombo di ripresenta?
«Da qualche anno si usa una sorta di maglia che si espande contro le pareti della coronaria facendo una specie di impalcatura, cioè di sostegno, che fa in modo che non si formino di nuovo trombi. Si chiama “stent”».

Quali sono i sintomi che dovrebbero mettere in allarme?
«Di solito il paziente comincia ad avere i classici sintomi dell’infarto: dolore al petto, al braccio, mancanza di respiro, affaticamento. Il medico lo dovrebbe indirizzare a fare degli esami di primo livello».

Cioè?
«Di solito l’elettrocardiogramma o un test da sforzo. Se c’è qualcosa che non si ritiene adeguato, si passa a un livello superiore: oggi si può usare la tac coronarica, esame non invasivo ma che lascia ancora qualche dubbio».

Perché?
«Se è negativo siamo sicuri che le coronarie sono pulite. Se è positivo bisogna fare un altro esame, la corononagrafia: si introduce un catetere fino alle coronarie e si spruzza un mezzo di contrasto e si guarda il loro interno».

Chi sono i malati che di solito di sottopongono a questi interventi?
«Quelli che hanno i classici fattori di rischio. Colesterolo, fumo, ipertensione, diabete, obesità. Gli stessi che sarebbe utile facessero un po’ più di attenzione e di prevenzione per arrivare a fare magari anche l’angioplastica, ma almeno prima di avere un’ischemia o un infarto». 

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