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Jannik Sinner, il primo maestro di sci: "Quel giorno che gli ha cambiato la vita"

Lorenzo Pastuglia
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«Cinque anni fa già lo dicevo a Jannik: nel 2024 sarebbe diventato il numero uno Atp. È migliorato in battuta, nella volèe e di testa. È il solito perfezionista di sempre che ha saputo mantenere l’umiltà». Andreas Schönegger è stato il primo maestro di sci e tennis di Jannik Sinner. Oggi sarà pronto a spingere il suo ex (talentuosissimo) allievo nella finale degli Australian Open contro Daniil Medvedev (diretta non in chiaro dalle 9.30 su Eurosport 1 e Discovery+), che potrebbe portagli il primo Slam della carriera.

Schönegger, oggi è il giorno della verità. Come la vede la finale?
«Cinque anni fa dissi a Jannik che nel 2024 sarebbe diventato il numero uno del ranking, mi sembra di essere sulla buona strada (ride, ndr). Capisco Barazzutti se dice che “è il più forte al mondo”, ma rimango cauto e dico che è tra i migliori. Ha tutti i favori del pronostico, dopo aver ceduto solo un set in tutto il torneo. E il modo in cui ha battuto Djokovic, non cedendo nessuna palla break, lo dimostra».

Che qualità ha mantenuto oggi Sinner rispetto a quando lo allenava da bambino?
«Voleva vincere a tutti i costi. Ha la stessa determinazione nel lavorare sodo e nel volersi perfezionare di un tempo, quando d’inverno si divideva tra il calcio e lo sci al Passo Monte Croce (in Alto Adige) e d’estate il tennis. Sulla neve era fortissimo nello Slalom Gigante e a 12 anni aveva vinto il titolo juniores. Il problema era che pesava poco: 35 chili contro i 50 degli avversari. Alla fine ha scelto il tennis».

Ci è rimasto male?
«Un po’ sorpreso, sia io sia gli altri istruttori di sci. Questa è una valle che vive di sport invernali, però posso capire il suo ragionamento fatto in passato: la voglia di non farsi male, perché sugli sci può capitare».

Fino a quanto è stato con lei?
«Da tre anni e mezzo a sette anni. Poi andò alla scuola di tennis di Heribert Mayr a Brunico (allenatore di Jannik fino a 14 anni, ndr) perché voleva allenarsi più ore. Con me però ha imparato tutte le basi: dritto, rovescio, volèe e battuta, il suo vero punto di forza sin dagli inizi. Con Riccardo Piatti (altro ex allenatore di Jannik, ndr) ha conosciuto la tecnica vera. Oggi lo vedo meglio in battuta, nella volèe e di testa, merito di Darren Cahill e Simone Vagnozzi.

Quando giocava a tennis che tipo era Jannik?
«Un bimbo piccolino che non ha mai mancato una lezione. Si allenava prima con me, poi aspettava il papà e giocava con lui. Era il più basso di tutti e non sapeva nemmeno contare i punti, poi però faceva i tornei Under-8 e sbaragliava la concorrenza. Quando stava per perdere, riusciva sempre a tirare fuori qualcosa di speciale».

Quando Jannik torna in val Pusteria, che persona ritrova?
«La persona umile di sempre. In Alto Adige torna tre-quattro volte all’anno e passa sempre a salutare tutti. L’ultima volta è tornato sotto Natale ed è venuto al Passo Monte Croce. Poco tempo prima siamo andati a giocare anche a golf: Jannik è molto bravo anche lì. D’estate invece gli piace prendere una mountain-bike e farsi un giro per i sentieri di montagna.

È andato mai a trovarlo a casa sua a Montecarlo?
«Più di una volta. Ricordo quando andava con il treno ad allenarsi a Bordighera da Riccardo Piatti e mi diceva che non prendeva mai il Frecciarossa perché costava troppo. L’ho seguito anche a Vienna, siamo partiti in una decina dalla val Pusteria per seguire la sua finale vinta contro Medvedev. Ero al fianco di Hanspeter e della mamma di Jannik, Siglinde». Un augurio per Sinner? «Di non infortunarsi mai seriamente nella sua carriera e di vincere, oltre agli Australian Open, anche gli US Open e Wimbledon. In Inghilterra l’anno scorso ha perso in semifinale contro Djokovic, quest’anno speriamo sia diverso».

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