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Paolo Bertolucci, il segreto di Jannik Sinner: "Come ha investito i suoi soldi"

Leonardo Iannacci
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«Jannik è come Roger». A Paolo Bertolucci scappa questa che parrebbe una provocazione. Ma non lo è.

Ma Jannik e Roger non sono due giocatori tecnicamente diversissimi fra loro? 
«Certo, ma i numeri suggeriscono suggestioni notevoli: Sinner ha vinto il primo Slam a 22 anni e dopo 17 tentativi. Esattamente come Federer che conquistò Wimbledon nel 2003 alla stessa età e dopo 17 iscrizioni fallite negli Slam».
È anche un segnale di gloria futura? 
«Piuttosto un intreccio statistico beneaugurale. Jannik ha toccato il cielo con un dito e marchierà a fuoco il tennis mondiale da qui ai prossimi dieci anni».
Chi saranno i prossimi Big Three destinati a prendere il posto di Nadal, Djokovic e Federer? 
«Alt, quei tre sono intoccabili. Rafa, Nole e Roger hanno vinto 66 Slam in tre, una roba epocale».
Quindi? 
«Alcaraz, pur essendo un giocatore diverso rispetto a Sinner, sarà il rivale numero 1. Lo spagnolo ha due anni in meno ma lo vedo più frivolo e meno concreto».
Il terzo incomodo? 
«Metterei Rune più che Bill Shelton anche se il tennis del danese è troppo d’istinto».

 

 


 

 

Panatta sostiene che Sinner può vincere ovunque ma deve migliorare un po’ sulla terra battuta... 
«Ha ragione, Jannik gioca il tennis migliore sul veloce indoor, dove non c’è il vento che lo disturba. US Open ma anche l’erba di Wimbledon sono alla sua portata. Sulla terra la palla va più lavorata e il pressing è più complicato».
Che significato ha l’aver battuto Djokovic tre volte in quattro incontri? 
«Che Jannik si è meritato le tre vittorie ma anche che Nole ha dato inaspettati segnali di cedimento. Sia in Australia che nel finale della scorsa stagione».
Gli eroi invecchiano? 
«È così: passare da 36 a 37 anni vuol dire caricarsi sulla spalle cinque anni in più, non uno soltanto».
Si parla molto dello staff dei miracoli di Sinner: un modo di gestirsi che a lei o Panatta era sconosciuto? 
«Assolutamente sì, mica avevamo otto persone al seguito. I contratti li firmavano noi e il fisioterapista era quello messo a disposizione dal torneo».

 

 


 

Esiste un’azienda Sinner? 
«È una vera multinazionale creata dallo stesso Jannik quando si staccò da Piatti. Decise di investire propri guadagni per fare un tennis-mercato, andò da Cahill e disse: vieni ad allenarmi? Mi aiuti a migliorare alcuni colpi? Quanto mi costi?».
Il mago australiano l’ha perfezionato a rete o nel servizio, però? 
«Certo. Dopo Cahill ha contattato Vagnozzi e gli ha fatto la stessa offerta. Poi ha cercato un fisioterapista, il bravo Giacomo Naldi che lavorava per la Virtus Bologna di basket».
Il manager ce l’aveva già... 
«Ad Alex Vittur ha aggiunto Lawrence Frankopan, che si occupa di gestire i rapporti con i media».

 

 

 


Ha persino un mental-coach personale. 
«Sì, è Riccardo Ceccarelli, medico dello sport che da 30 anni si occupa della psicologia dei piloti di Formula 1. Il grande tennista, a differenza di un calciatore, si circonda di un costosissimo staff che ha bonus in base ai risultati ottenuti dall’assistito. Anche per questo Cahill e gli altri esultavano all’angolo».
Il segreto che ha fatto diventare Jannik un campione?
«Premessa: Sinner è un fuoriclasse, non solo un campione ma il talento non sarebbe bastato. Un aneddoto? Il pomeriggio del 31 dicembre a Montecarlo faceva un freddo boia ma l’ho visto in campo a provare fino il servizio. Non era a farsi degli spritz con gli amici. Nella finale contro Medvedev, ha vinto per due-tre dettagli. Ad esempio, in un momento topico Jannik ha salvato una palla break con un ace pazzesco. Dal cilindro ha estratto il coniglio bianco. In quel momento in lui ho visto il fuoriclasse». 

 

 

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