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Inter-Juve, il bello della tattica: una sfida all'italiana da non vergognarsi

Claudio Savelli
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Due notizie. La prima: il derby d’Italia è di nuovo di massimo livello. Non solo italiano ma anche europeo, seppur la Juventus quest’anno non giochi oltre i confini. Non è vero che i bianconeri giocano male, semmai rispettano un copione intelligente dal momento che di fronte c’è l’Inter, che ha alcune specificità che in pochi hanno saputo studiare quest’anno. La seconda notizia: possiamo essere fieri di una partita molto tattica, molto italiana nel senso più antico del termine. 

E possiamo dire che questa italianità non è più dispregiativa, non è più un difetto, perché i contenuti tattici che sono di alto livello sono inseriti in un ritmo e un’intensità nei duelli senza dubbio contemporanea, di quelle che si vedono nella tanto osannata Premier League. Se questo è al momento il nostro massimo prodotto da esportare, possiamo esserne soddisfatti. Si può fare di più? Certo, ma in relazione alla posta in palio si poteva anche ottenere molto meno. Perché, ricordiamolo, le finali non sono mai belle partite, e questa era come una finale nonostante gli allenatori e i dirigenti di entrambe le fazioni si siano impegnati per negare l’evidenza. Non è la migliore Inter perché la Juventus non le permette di esprimersi sui suoi livelli.

Allegri obbliga infatti i nerazzurri a convivere con il loro più evidente, e forse unico, difetto: la mancanza di giocatori che saltino l’uomo. L’Inter crea superiorità numerica attraverso le combinazioni, il palleggio e l’interscambio di posizioni, più che con i dribbling che solo Thuram per vie centrali sa mettere in scena. La Juventus abbassa il baricentro e obbliga l’Inter a comprimersi in avanti, togliendo quindi lo spazio e lo slancio ai nerazzurri che non possono prendere velocità ma, di fatto, sono costretti a giocare corto. Con un rischio: spazientirsi. Allegri scommette su questo. Visto che l’Inter gioca in casa, pensa che possa infastidirsi per una partita che non si sblocca. Ha senso ed è efficace anche in proiezione offensiva perché in un paio di occasioni l’Inter si fa trovare scoperta al centro, avendo tutti i centrocampisti oltre la linea della palla. Poi sono gli uomini a tradire lo spartito di Allegri perché a Rabiot manca lo spunto di un mese fa e alle punte manca presenza scenica. L’Inter non casca nella trappola. Gioca pensando di poter vincere, non di doverlo per forza fare, e questo le dà grande serenità.

 

E si vede che Inzaghi è maestro nella preparazione delle partite “secche” - perché questa, anche se non lo è, è stata preparata come tale. L’Inter è consapevole di dover fare due cose: mantenere la calma nel possesso e dare fluidità alle posizioni. Nello specifico, la chiave di Inzaghi è il movimento di qualche pedina difensiva per penetrare nel castello juventino perché sono quelle non previste, non controllabili e che arrivano da più lontano. E chi si palesa in area nell’azione dell’autogol di Gatti? Pavard. Il terzo di difesa che, guarda caso, attacca come non mai. Inzaghi la vince così, con un’illuminazione, una pedina mossa sulla lavagnetta, un’allegrata.

 

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