Lo stratega

Luciano Spalletti, ricomincio da tre: la mossa con cui il Ct stravolge l'Italia

Claudio Savelli

L’Italia ricomincia dalla difesa a tre. Sacrilegio! Si torna al contropiede italiano? Alla difesa in trincea e palla in su, sperando che l’attaccante che non abbiamo ce la mandi buona? Chi lo pensa confonde il sistema con i concetti, il mezzo con il fine. Luciano Spalletti non è un integralista dei moduli, non ne ha uno preferito, non adatta i giocatori ai suoi gusti ma fa l’esatto contrario.

In carriera lo ha ampiamente dimostrato vincendo lo scudetto a Napoli con il 4-3-3 ma schierando la prima Roma e l’Inter con il 4-2-3-1 e portando la seconda Roma al record di punti con il 3-4-2-1 con Salah e Nainggolan dietro a Dzeko, un’ala (Chiesa) e una mezzala offensiva (Pellegrini) dietro a un centravanti di manovra (Raspadori). Eccolo qui, il modulo per la nuova Italia. Tre dietro, due esterni, due in mezzo, due sulla trequarti, uno davanti.

Così in partenza perché poi, nei principi spallettiani, i calciatori si muovono negli spazi e l’impianto diventa un flusso in eterna mutazione. È il calcio liquido, bellezza. È il calcio che Luciano Spalletti ha intenzione di proporre dall’amichevole di stasera (alle 22 italiane, diretta Rai Uno) contro il Venezuela, la prima vera partita del suo ciclo, se è vero che prima ha dovuto strappare la qualificazione all’Europeo facendo di necessità virtù.

CALCIO LIQUIDO
Si lavora al caldo ma non troppo di Miami e si sfidano due nazionali (il Venezuela, appunto, e domenica l’Ecuador) che sì permettono esperimenti ma li rendono anche attendibili per l’Europeo, considerando che poi ci saranno appena altri due test prima dell’esordio. Il ct ha detto una sola bugia in questi giorni: che il 3-4-2-1 sarà un’alternativa al 4-3-3. In realtà, dovesse andare tutto crede, il sistema con la difesa a tre diventerà il principale. Bisogna tornare al biennio di Antonio Conte, 2014-2016, per ritrovare la difesa a tre come base fissa dell’Italia. Perché poi Ventura la utilizzò solo a tratti, come rifugio sicuro dalle difficoltà. Prima c’era l’Italia di Prandelli con il 4-3-1-2, il rombo che valorizzava i tanti centrocampisti di qualità, poi c’è stata l’Italia di Mancini con il 4-3-3 fresco e rivoluzionario fino a Wembley ma invecchiato male dopo il successo europeo perché non teneva più conto delle caratteristiche dei calciatori in ascesa.

Proprio per evitare questo errore, Spalletti ha pensato al 3-4-2-1. È la disposizione che mette più azzurri nella posizione ideale. I difensori a disposizione, in particolare, giocano tutti in una difesa a tre, tranne Di Lorenzo che però, come Darmian, è perfetto da terzo di difesa (non chiamiamolo braccetto, dai) o da quinto di centrocampo. In una linea a quattro, Bastoni può concedersi meno costruzioni delle sue; Scalvini, abituato al sistema-Gasperini, viene esposto ai suoi difetti come si è già visto nelle precedenti puntate azzurre; Buongiorno, un "campione" secondo Spalletti, sarebbe costretto a troppi duelli in campo aperto.

 

A ruota, la difesa a tre offre la possibilità ai terzini di avanzare e agire da esterni a tutta fascia, quindi di incidere di più nella costruzione delle azioni o in fase offensiva. Sarebbe illogico forzare Dimarco, Udogie e Cambiaso, tre diamanti puri del ruolo, in una posizione arretrata. Vorrebbe dire rinunciare ad un chiaro punto di forza della rosa. Solo un allenatore scarso non se ne accorgerebbe, e Spalletti di certo non rientra in questa categoria. Certo, manca il fuoriclasse, lo Jannik Sinner del calcio - infatti l’originale è stato trattato con il dovuto rispetto quando è andato a trovare gli azzurri appena sbarcati a Miami ma se ogni giocatore è al suo posto potrebbe non servire. Di Sinner bisogna "prenderne un pezzo" e portarlo in campo, al resto ci sta pensando Spalletti.