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Sinner, le clamorose parole dell'ex coach di Federer: si aprono nuove stanze dell'universo

Leonardo Iannacci
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Ivan Ljubicic è l’uomo giusto per farci aprire nuove stanze dell’universo Sinner e del tennis d’élite. Ivan è un personaggio incredibile: fuoriuscito nel 2003 dalla sua Banja Luka in seguito alla sanguinosa guerra civile che, a inizio anni ’90, frantumò l’ex Jugoslavia, è diventato un campione di tennis in Italia sino a vincere 10 tornei dell’Atp, una Coppa Davis, una medaglia olimpica e arrivare al numero 3 negli anni della grande dittatura dei Big Three (Federer-Nadal-Djokovic). Oggi Ljubicic è una voce nobile di Sky dopo essere stato l’allenatore di King Roger, il più grande.

Ivan, con Federer ha vissuto gli anni più esaltanti della sua vita da allenatore?
«È stata un’esperienza meravigliosa. Ho iniziato con Roger nel periodo in cui pensava di non poter tornare più ai vertici, era demotivato. Invece, con pazienza, l’ho aiutato a rivincere tre Slam, a tornare numero 1 e a occupare il trono del suo giardino preferito, il centrale di Wimbledon».

Chi è stato Federer?
«Per me e per tutto il mondo, un idolo. Ha fatto cose che nessun altro ha mostrato su un campo da tennis. E poi il suo modo di relazionarsi l’ha fatto amare da tutti e resterà per sempre Il Tennis».

Quando vede Sinner, le torna in mente Roger?
«Come modo di giocare ha caratteristiche differenti, a cominciare dal rovescio a due mani. Ma come applicazione, metodologia negli allenamenti e disciplina, assolutamente sì».

Anche fuori dal campo?
«Non si comporta mai come una rockstar ed è il figlio che tutti vorrebbero per educazione e stile».

Jannik, quindi, sulle orme di Federer?
«Ho iniziato ad allenare Roger quando aveva 34 anni e la prima cosa che mi chiese fu: Ivan, devo migliorare in alcune cose e cercare di superare alcune difficoltà quando incontro Nadal o Djokovic. Capite? Dopo aver vinto 17 Slam vinti, aveva ancora l’umiltà per mettersi in discussione, cercare di evolversi».

 

 

Federer aveva paura di Nadal?
«Nel 2019 sì, l’ha manifestata. Prima della semifinale di Wimbledon mi confidò: Ivan, devi convincermi che sono più forte di Rafa. Parlammo un’ora. Il giorno dopo, scese sulla’erba del centrale e vinse».

Per cos’altro la deve ringraziare Federer?
«Nel 2017 lo convinsi a cambiare il modo di giocare il rovescio, a portarlo piatto e in controbalzo. E proprio contro Nadal funzionò nella finale vinta all’Open d’Australia. Roger riconquistò uno Slam dopo quasi cinque annidi digiuno».

Per cosa la stupisce, oggi, Sinner?
«Per l’organizzazione della sua carriera e per la lucidità che mostra in tutto quello che fa, giocando ma anche intuendo quando conviene fermarsi e rinunciare a qualcosa come la Davis o alcuni tornei. Rinuncia e preferisce allenarsi, capisce di vivere un momento magico ma lo fa con intelligenza».

E ha solo 22 anni...
«Un fuoriclasse non ha età, Federer cambiò allenatore, lo svedese Peter Lundgren, alla stessa età in cui Jannik ha rivoluzionato tutto lo staff tecnico.
Per raggiungere il top, ha preso la stessa decisione e si è staccato da Piatti».

Jannik sta dimostrando anche coraggio, vero?
«Soprattutto per la sicurezza con cui affronta le cose del tennis e della vita. Non dimentichiamo che, a soli 14 anni, abbandonò Sesto e la famiglia per andare in Liguria da Piatti. Pochi lo avrebbero fatto».

 

 

Ora è a un passo dal celeberrimo numero 1 in classifica: a quando il top?
«Ma è già il tennista più forte del mondo. Ha ragione quando dice che i numeri contano fino a una certo punto».

Però Panatta afferma che, a parità di condizione, Alcaraz ha ancora qualcosina in più...
«Capisco il ragionamento di Adriano, al 100% lo spagnolo sembra ingiocabile e forse è così. Ma Jannik è più continuo: e poi dà più fastidio al gioco di Alcaraz di quanto il gioco di Carlitos dia al suo. A volte, contro di lui, lo spagnolo appare maggiormente sotto pressione ed è costretto a forzare».

Quale sarà il secondo Slam che arricchirà la bacheca di Sinner?
«Più Wimbledon che il Roland Garros. Ma ormai Jannik può vincere ovunque».

Anche a Roma, sulla terra battuta?
«Lì conterà molto il meteo. Lo scorso anno ha piovuto sempre e, con i campi in terra rossa molto umidi, ha avuto buon gioco Medvedev».

Il tennis sta chiudendo un’epoca d’oro, volta pagina e saluta vecchi eroi: anche Nadal è al capolinea?
«Non gioca da quasi due anni, è tornato ma per rivincere Parigi la vedo dura».

E Djokovic?
«Gioca sempre meno, si pre10» serva. Però conosco bene Nole, da lui bisogna sempre aspettarsi la zampata».

Dolenti note: Berrettini...
«Per Matteo è soltanto un problema di salute. Se sta bene, il suo tennis è da primi dieci del mondo e può battere chiunque. Negli ultimi due anni ha avuto una sfortuna pazzesca. Mille infortuni e tutti diversi l’uno dall’altro».

Musetti è un talento che si sta perdendo?
«Speriamo di no. Tennisticamente è il più bello da vedere. Se in giornata può battere chiunque ma soffre di alti e bassi impensabili. Un po’ mi assomiglia: quando giocavo, facevo male a tutti con il servizio ma (ride) non avrei mai scommesso su una mia vittoria sicura».

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