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Parigi 2024, pancette, birra, mani in tasca. L'impresa è essere normali

Giovanni Sallusti
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Forse servirebbe il candore disincantato di Lucio Dalla, per raccontare cosa sono state queste Olimpiadi, non cosa avrebbero dovuto essere secondo il mainstream paramacroniano. “Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. Il brano era “Disperato erotico stomp”, un inno alla normalità istintuale, spesso frustrata e fondamentalmente autoreferenziale, che culmina poi in un atto onanistico (faccenda molto più normale dell’Ultima Cena queer, peraltro, qualunque cosa essa significhi).

Ma l’eccezionalità della normalità è più dirompente adesso di allora. Sicuramente è più dissonante, nell’era in cui perfino le ovvietà microscopiche, cromosomiche, vengono messe in discussione, nell’era in cui il conformismo ha assunto la veste della dissociazione di massa dalla norma, qualunque essa sia, ma non in nome dello sberleffo, bensì dell’engagement serioso, per cui tutto, anche lo sport, diventa una succursale dell’ideologia, o di quella sua parodia liquida e arcobaleno che ci è toccata in sorte. Peccato che poi lo sport sia esistenza autentica, incandescente, sia dramma o commedia del singolo, quell’atomo di realtà che sfugge sempre al suo assorbimento nel sistema, come ammoniva Sören Kierkegaard. (...)

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