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Matilde Lorenzi, lo sci sganciato e la botta di faccia: una sfortuna fatale

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Claudia Osmetti
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Matilde Lorenzi non ce l’ha fatta. È morta, questa sciatrice professionista, neanche vent’anni, sempre sorridente nella sua giacca impermeabile bordeaux “Falconeri”, non si è più ripresa da quella caduta, terribile, lunedì, dieci minuti appena, dalle 9.40 alle 9.50, sul versante destro della pista Grawald G1, in Val Senales (Alto Adige). Lassù, dove tutto è più bianco, quasi immacolato, a quota 3.251. Per un incidente, per uno sci sganciato: per la sfiga, che forse è poco elegante da dire (e ancor meno facile da accettare), ma c’è anche lei e quando ci si mette nessun destino la tiene.

È compito dei carabinieri, adesso, cercare di capire cosa sia successo, nei minimi dettagli, minuto per minuto, in quella discesa disperata, che è iniziata come tutte le altre, su una pista neanche particolarmente difficile, sicuramente non per un’atleta con l’esperienza di chi solo l’anno scorso ha vinto il titolo italiano (assoluto e giovani), una rossa, meno di un chilometro, un test per il gigante. Si sta allenando, Matilde, la mattina di due giorni fa: il cielo è aperto, non ci sono nuvole, la visibilità è buona, l’innevamento ottimale, le porte sono già allineate lungo il tracciato.

 

CASCHETTO PROTETTIVO
La frazione di un secondo. Quello maledetto. Gli sci che si divaricano, improvvisamente: un attacco che si sgancia, quello di un sistema di sicurezza che dovrebbe evitare danni alle gambe. Lei che sbatte un braccio contro una porta, sta curvando verso destra, non riesce più a controllare la discesa anche se quello, ironia della sorte, è un passaggio per lo più pianeggiante, dopo un muretto: niente da fare. L’impatto, violento, fortissimo, con la faccia diretta sul ghiaccio, fuori pista, in una zona dove la neve non è battuta ma ci sono comunque le reti di protezione: e sì, Matilde indossa il caschetto protettivo, però no, non è sufficiente neanche quello perché la botta è devastante.

C’è una telecamera, una webcam, all’Iceman Ötzi Peak, che riprende gli addetti alla pista che accorrono, che chiamano l’elisoccorso il quale arriva, pure lui, venti minuti dopo l’incidente, che in una mezz’ora buona decolla, di nuovo, questa volta verso l’ospedale di Bolzano, dove Matilde verrà ricoverata in gravissime condizioni e dove, purtroppo, perderà la vita di lì a qualche ora per colpa di un’emorragia interna. Il giorno dopo (ieri) la Grawald G1 è già riaperta e la stanno utilizzando decine di atleti che, da tutta Europa, si sono ritrovati qui per allenarsi mentre la stragrande maggioranza degli impianti sulle alpi non ha ancora inaugurato la stagione 2025.

«Non ci sono responsabilità penali per la morte della sciatrice Lorenzi», dice la procura bolzanina che è pomeriggio inoltrato, il pm «ha già rilasciato il nulla osta alla sepoltura» nonostante «su segnalazione dei carabinieri di Senales» sia stato aperto «un procedimento per atti non costituenti reato». Vuol dire che sulla la morte di Matilde si istituirà, con ogni probabilità, un’inchiesta come atto dovuto, perché è giusto capire, ma niente di più.

 

CORDOGLIO GENERALE
Resta il fatto che il dolore è tanto, il cordoglio anche. Comincia, ieri mattina, con le parole del ministero della Difesa, affidate a un post sui social, perché Matilde era un caporale dell’esercito e quella passione per lo sci la faceva gareggiare proprio tra le fila dei militari. Prosegue con la solidarietà espressa dal Capo di Stato Maggiore e dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani («Sono addolorato. Un talento cristallino spezzato dal destino. Mi stringo al dolore dei suoi famigliari, amici, compagni di squadra del gruppo sportivo dell’esercito. Riposa in pace, giovane campionessa»).

Prosegue, questo enorme abbraccio che travalica i monti, a Sestriere, in alta Valle di Susa, nel Torinese, dove Matilde è cresciuta agonisticamente e dove «tutta l’amministrazione comunale e la popolazione si stringe attorno all’immenso dolore». E termina nella dichiarazione dei Lorenzi, in particolare di papà Adolfo che spiega: «È un momento di grandi emozioni. Però noi non vogliamo fiori alle celebrazioni, vogliamo far sì che vengano raccolti fondi per migliorare la ricerca per la sicurezza degli atleti sugli sci.

Questa è la prima cosa che vogliamo fare e lo chiediamo a chi ci sarà vicino in questi giorni: sceglieremo l’azienda o l’università con la quale collaborare al fine di sviluppare un progetto per riuscire a migliorare la sicurezza degli sciatori. Così terremo in vita la nostra grande Mati». Ogni anno, infatti, su 30mila incidenti che avvengano sulle piste italiane, si contano all’incirca 1.500 ricoveri (tra casi gravi e meno gravi) e venti decessi, uno ogni 1.700 sinistri.

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