Il fenomeno è sottile, ma fateci caso: quando si parla di Jannik Sinner emerge con virulenza l’italica ossessione per il denaro. Anche da un punto di vista mediatico. Ossessione pelosa e serpeggiante. Le ragioni possono risultare intelligibili, ma la sostanza è che non esistono ragioni sensate per dar contro a Jannik: è italiano, è un fenomeno, è neutrale. Eppure appena ci si avventura nel subconscio collettivo si manifestano i presupposti per pungolarlo. Presupposti vili, infondati. Una sorta di caleidoscopio del pregiudizio in cui si fondono l’idiozia del «non è davvero italiano» (vedi le roboanti polemiche perla freschissima rinuncia alla Davis), la casa a Montecarlo ergo è un evasore, la bonaria neutralità che in Italia viene guardata con sospetto («Vogliamo casino! Vogliamo il personaggio!»). Tre attenuanti inesistenti alla diffusa invidia sociale con cui il “rosso” deve fare i conti. E l’invidia sociale si nutre di due soli ingredienti che spesso viaggiano di pari passo: status e denaro. Suppongo che l’ambaradan neppure sfiori Jannik, mala vicenda resta sgradevole.
Questo brodo primordiale di malevolenza, lo scorso weekend, ha trovato in Arabia Saudita il cratere perfetto per eruttare: un torneo (il Six Kings Slam) ininfluente ai fini della classifica, scenografie oggettivamente buzzurre, un inusitato montepremi (6 milioni di dollari). Premessa: nessuno dei migliori giocatori al mondo ha rifiutato l’invito. Conclusione: Jannik ha vinto triturando nell’unica finale oggigiorno possibile Carlos Alcaraz. Al netto degli zero punti ottenuti, una rimarcabile impresa sportiva. Ma l’aspetto, mediaticamente, interessava il giusto.
Jannik Sinner merita di fermarsi dopo i trionfi
Questa è una difesa preventiva, e non d'ufficio, di Jannik Sinner da Sesto Pusteria, di professione fuoriclas...Disclaimer: anche qui abbiamo titolato «Ricchissimo Sinner, è ancora re d’Arabia». Ma Libero non può essere tacciato di connivenza col pauperismo se non da chi è in cattiva fede: «ricchissimo» è una parola bellissima. E soprattutto Libero si è sempre e per sempre schierato con Jannik, un supporto quasi fideistico (se non vi piace amen, la scelta è nostra). Archiviato il disclaimer parliamo dei peccati senza nominare i peccatori: sui quotidiani le titolesse indugiavano esclusivamente sul denaro in sé e per sé. Esempi: «I sei milioni vinti in Arabia valgono già metà stagione. Nel mirino i 5 (milioni, ndr) delle Finals». Jannik come una «multinazionale». «Sei milioni di motivi» e battere Alcaraz, va da sé, non ne vale nemmeno un’unità. «Rivincita dorata» quindi illusoria. Poi accostamenti all’apparenza innocui ma nei fatti feroci: «Il «jackpot è di Sinner» («jackpot» è come «ricchezza»: parola bellissima). Peccato che di fianco al «jackpot» campeggiasse l’ormai rituale commento: «Un consiglio, Jannik dica sì alla Davis». Consiglio rispedito al mittente: ha detto «no». Ergo poiché non gioca, oltretutto a Bologna, stando al sottotesto è un traditore (della patria?) che pensa solo al denaro (eppure concentrarsi sul soldo non ha nulla di immorale, se l’obiettivo è vincere un torneo). Anche in televisione ci si è imbattuti in autorevoli servizi che della sculacciata a Carlitos hanno raccontato poco e nulla, mentre sul «ricco bottino» e sul «prize money» hanno ripetuto tutto.
Jannik Sinner, la rivoluzione: "Dal primo colpo dopo New York"
Jannik Sinner ha offerto a Riad la sua partita più netta e ideologica nella finale vinta contro Carlos Alcaraz: n...Ecco, il «prize money», ossia quanto un atleta ha incassato in carriera dai premi dei tornei. Seguo il tennis da 30 anni e mai mi ero imbattuto in un’attenzione così morbosa per un «prize money» come quella che la stampa nutre per il bottino di Sinner: il conteggio viene rilanciato a reti unificate dopo ogni torneo, compresi quelli minori e quelli in cui non vince.
Il tarlo c’è ed è ben evidente. Sorprende il giusto. Se ci pensate qui da noi s’invoca la patrimoniale una settimana sì e l’altra pure, la leader del principale partito d’opposizione fa del pauperismo di facciata la sua missione, qualcuno disprezza Trump a tal punto da carezzare tutt’oggi Maduro e contesta premi Nobel che disprezzano il tiranno venezuelano. Ok, la questione si farebbe lunga: ci siamo intesi. Per fortuna resiste una maggioranza relativamente silenziosa che ha concezioni diametralmente opposte.