Flavio Cobolli, nel pieno della maratona contro Jaume Munar che ha spianato la strada al trionfo azzurro in Coppa Davis, a un certo punto ha chiesto del sale a capitan Volandri. Non per un capriccio o un rimedio improvvisato, ma per una precisa scelta “scientifica”. Il romano – reduce anche dalla lunga battaglia con Bergs in semifinale – ha percepito i primi segnali dei crampi e ha deciso di giocare d’anticipo: "Avevo paura dei crampi… Ho chiesto il sale a Filippo, qualcuno della panchina è corso a prenderlo nelle cucine dell’arena", ha raccontato.
Il sale però non andava sciolto in acqua o ingerito subito, ma tenuto sotto la lingua. Un metodo che i recenti studi confermano come il più efficace quando lo sforzo è intenso e prolungato: i crampi non dipendono solo da disidratazione o fatica, ma spesso dalla perdita di sodio attraverso il sudore. Il punto non è far arrivare rapidamente il sodio nel sangue – cosa che richiederebbe comunque minuti – ma attivare alcuni recettori nervosi nella bocca e nella gola. Una volta stimolati, questi recettori inviano un segnale riflesso al sistema nervoso che “inganna” per qualche istante il cervello, riducendo il riflesso neuromuscolare che genera il crampo.
È lo stesso principio che ha reso celebre il succo di sottaceti, il “pickle juice”, usato da tanti atleti: Sinner, Alcaraz, Djokovic e molti altri lo tengono in bocca per 30-90 secondi e spesso lo sputano, perché l’effetto si attiva molto prima che il sodio venga assorbito. Ingerirlo direttamente o affidarsi solo a una bevanda isotonica richiederebbe più tempo, e nel tennis i secondi possono cambiare un match. Cobolli, consapevole della fatica accumulata e dei rischi, ha mostrato lucidità: ha usato il sale come arma preventiva, non come rimedio d’emergenza. Una scelta di fisiologia applicata, sorretta da studi e da un intuito prezioso: capire il proprio corpo prima che sia lui a dettare le regole.