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Immigrazione, sbarchi fuori controllo e l'Europa tace: perché l'Italia affonderà

Francesco Carella
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Più che le opinioni, che in Italia sono sempre divisive, vale la pena di partire dai numeri per riuscire ad avere una conoscenza precisa su che cosa stia accadendo nel braccio del Mediterraneo compreso fra il Nord Africa e le coste italiane. Al 5 novembre 2021 gli arrivi sono stati 54.384, a fronte di 29.856 nel 2020 e di 9.944 nel 2019. Il fenomeno dello spostamento di massa dal Sud verso il Nord ci accompagnerà, come sostengono i demografi, almeno per alcuni decenni a causa delle condizioni di vita via via sempre più difficili nel Continente africano. 

 

Né ci si può ancora illudere, come continua ad accadere nei diversi consessi internazionali, di risolvere il problema della povertà trasferendo ingenti risorse finanziarie verso quei Paesi. Infatti, l'intera storia degli aiuti occidentali all'Africa è segnata da un devastante combinato disposto di fallimenti progettuali e di arricchimenti delle classi dirigenti locali. Un autorevole economista ghanese, George Ayette, docente all'American University e presidente di Free Africa Foundation, non perde occasione per invitare i Paesi ricchi dell'Occidente a riflettere, quando si elaborano piani di aiuti, sul fatto che «l'Africa possiede le risorse di cui ha bisogno, ma è in ginocchio per l'inadeguatezza di chi occupa i posti di comando nel realizzare riforme e investimenti. Finché si potrà battere cassa presso gli Stati occidentali non vi sarà alcuna inversione di rotta. Quel denaro finirà nei conti esteri dei vari clan al potere».

 

Intanto, gli sbarchi sulle coste italiane continuano a ritmo crescente trasformando sempre di più il nostro Paese, grazie alla politica delle porte aperte condotta dal ministro dell'Interno, in un grande centro di accoglienza. A questo punto, le alternative sono due. O si perseguono politiche ispirate al principio umanitario secondo cui "a chi bussa perché ha fame e sete bisogna aprire", oppure, a causa del numero elevato di richieste di aiuto difficilmente gestibili da un solo Stato, si decide di rispondere applicando le regole del realismo politico. Se si segue la prima strada - fortemente voluta dalla sinistra - il governo ha l'obbligo di rendere consapevoli i cittadini circa le inevitabili ripercussioni da affrontare sia sul terreno economico-finanziario che su quello politico-culturale. Nel breve e medio periodo non si potrà evitare di mettere mano alla leva fiscale per organizzare in modo umanamente accettabile l'ospitalità, né si potrà evitare, in casi estremi ma non improbabili, il temporaneo sequestro delle seconde abitazioni per alloggiare i nuovi arrivati. Mentre sui tempi lunghi le ricadute, alla luce della presenza di una forte componente islamica fra gli immigrati, saranno ancora più impegnative in ragione dei conflitti di civiltà che potranno insorgere, peraltro in alcune città già in parte presenti.

In attesa di un'europeizzazione del problema, il primo compito di chi governa rimane quello di far sì che vengano rispettati i confini nazionali anche perché il cittadino è tenuto a rispettare le leggi a condizione che sia certo di ottenere dallo Stato adeguate contropartite, la principale delle quali è la disponibilità dello stesso ad usare la forza per proteggerlo dalle minacce esterne. La sottovalutazione degli effetti destabilizzanti di un'immigrazione fuori controllo porta alla mente l'ammonimento dello storico Arnold Toynbee quando ricorda che «le civiltà muoiono per suicidio e non per assassinio».

 

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