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Ong, i limiti alle onlus? Sacrosanti: la gestione dell'emergenza spetta solo allo Stato

Pietro Senaldi
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Converrebbe chiuderlo qui. Non tanto all’imputato, quanto piuttosto a coloro che l’hanno tirato in mezzo e hanno esultato quando è stato chiamato alla sbarra. Stiamo parlando del processo all’ex ministro dell’Interno Salvini per sequestro di persona per aver impedito per qualche giorno lo sbarco di un centinaio di immigrati clandestini. Da subito si è capita la portata grottesca del giudizio, che però, oltre a far ridere, odorava anche di pasticcio all’italiana. La conferma si è avuta quando il capo dei magistrati è stato intercettato al telefono mentre confidava al collega esterrefatto: sappiamo che il leader leghista è innocente, lo tiriamo alla sbarra perché dobbiamo, in quanto è un nemico politico. Anziché archiviare tutto per manifesto scandalo pubblico, la Procura è andata avanti, e ne abbiamo viste delle belle. Parallelamente, la compagna capitana Rackete, nemica giurata del capitano del Carroccio, è stata assolta per aver volontariamente speronato in porto un’imbarcazione della Guardia di Finanza, in quanto, spiegavano i giudici, anche questa manovra rientrava nell’operazione di salvataggio in mare.

 

 


Ieri, un altro colpo di scena. Mentre al largo di Napoli la marina militare italiana liberava uno scafo turco sequestrato da clandestini ansiosi di farsi portare dove volevano loro, a riprova che lo Stato fa rispettare le leggi e a delinquere sono i clandestini e chi li favoreggia, a Palermo il processo a Salvini regalava un’altra chicca. È emerso infatti che l’imbarcazione Open Arms delle ong, quella che ha denunciato l’ex ministro, sceglieva gli uomini da salvare e quelli che invece no, come fossero ciliegie sull’albero e, sebbene vuota, avrebbe negato soccorso a un natante carico di disperati che voleva rifilargliene qualcuno. Perché? Forse aveva assunto impegni su altre rotte... Comunque sia, è la riprova che la legge del governo che impone limiti e condizioni all’attività delle navi umanitarie serve, perché riporta la gestione dell’emergenza esclusivamente nelle mani dello Stato e non di personaggi, che battono bandiere di altre nazioni e la cui missione politica è mettere in difficoltà le autorità italiane e tenere gli altri Paesi Ue placidamente ai margini del problema.

 


Un ulteriore contributo di ordine e chiarezza dovrebbe arrivare dall’accordo stipulato giovedì sera a Lussemburgo dal ministro dell’Interno Piantedosi con i suoi pari ruolo dell’Unione Europea su come gestire gli arrivi illegali. L’Italia, che ha firmato a differenza di Paesi come Ungheria e Polonia, contrari, o Malta e Bulgaria, astenuti, ha vinto o ha perso? La Meloni lo ha definito «un passo avanti» rispetto alla situazione precedente, che poneva sulle nostre spalle l’intero peso dell’emergenza. Abbiamo spuntato che si possano fare rimpatri nei Paesi di transito e non solo in quello d’origine dei clandestini arrivati e abbiamo ottenuto di poterli trattenere per ben tre mesi chiusi nei centri d’accoglienza per l’identificazione. Infine, fondamentale perché fa realmente di quello migratorio un problema di tutti, è stato stabilito che, a ventiquattro mesi dall’arrivo, l’immigrato illegale sia libero di varcare i confini italiani.


È saltata poi la logica introdotta dai governi progressisti dell’Italia, come una piccola Turchia, pagata per accogliere e non rompere. Sono state infatti previste quote di ripartizione e multe per gli Stati che non le rispettano. Piantedosi però ha rifiutato il denaro, che andrà alla Ue, la quale lo investirà per fermare le partenze. «L’immigrazione illegale va stoppata prima che arrivi in Europa», ha dichiarato a proposito il premier Meloni, rilanciando il piano Mattei. La partita ora è chi gestirà i soldi delle mancate ripartizioni e assumerà la guida delle operazioni per evitare le partenze. Il prossimo capitolo è a fine mese, a Bruxelles, dove il governo si augura di fare un secondo passo in avanti.

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