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Immigrati nell'esercito, alla sinistra fanno paura: vanno bene solo nei campi?

Alberto Busacca
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Chi ha paura del soldato straniero? E per quale motivo? In questi giorni si sta discutendo dell’ipotesi di arruolare immigrati nell’esercito italiano. La cosa, secondo il Fatto quotidiano, sarebbe al vaglio del ministro della Difesa, Guido Crosetto. «Negli uffici degli Stati maggiori della Difesa», hanno scritto recentemente Alessandro Mantovani e Francesco Ridolfi, «si lavora a un progetto che consentirà di arruolare, nelle forze armate, un certo numero di giovani cittadini stranieri. Magari già residenti in Italia da qualche anno, con piena padronanza della nostra lingua e interessati ad acquisire la cittadinanza, come una sorta di premio, alla fine di un servizio che sarebbe per lo più a termine. Quando si dice l’integrazione». Al momento, ha chiarito il quotidiano diretto da Marco Travaglio, si tratta soltanto di una possibilità e manca il via libera del ministro. Ma il tema sarebbe sul tavolo. E non è nemmeno la prima volta. «La legione straniera non dovrebbe scandalizzare, è un problema che prima o poi finirà col porsi», sosteneva già nel 2006 Antonio Martino, a lungo ministro della Difesa del governo Berlusconi. Chiosa di Mantovani e Ridolfi: «Forse ci siamo arrivati. C’è la destra al governo, ma potrebbe essere un caso»

FRANCIA E SPAGNA
Della questione, sempre sul Fatto, si è occupato ieri anche Alessandro Robecchi. Con un tono più critico. «Ai “patrioti” che ci governano», ha sostenuto, «che i soldati di truppa abbiano un’altra patria non importerebbe granché. E così assisteremmo al divertente paradosso che se imbracci un fucile ti facciamo diventare italiano, mentre se sei uno straniero – anche nato in Italia – e frequenti le elementari, o le medie, o le superiori, o ti laurei e diventi dottore no, non sei pronto».

E ancora: «Naturalmente non è una cosa nuova, questa di prendere stranieri e di fargli fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, basta dare un’occhiata a qualunque cantiere, a qualunque consegna di cibo a domicilio, a qualunque lavoro sottopagato, senza formazione e meno ancora diritti. Insomma, al fronte gli stranieri li mandiamo già, fronte interno». Ma perché l’idea di permettere agli stranieri di arruolarsi nell’esercito sarebbe una cosa solo di destra? Perché sarebbe un esempio di cattiva integrazione? E perché mettere questa cosa in contrapposizione con il normale percorso per ottenere la cittadinanza?

 

 

FORMAZIONE E DIRITTI
Andiamo con ordine. Intanto va ricordato che l’idea della legione straniera non è nuova ed è una realtà in molti Paesi europei. A partire dalla Francia, naturalmente, dove esiste la famosissima Légion étrangère, fondata dal re Luigi Filippo addirittura nel 1831. Una cosa simile ce l’hanno da tempo anche in Spagna, e ci sta pensando pure la Germania, dove la proposta è stata avanzata dal ministro della Difesa Boris Pistorius, del Partito Socialdemocratico.  Per quanto riguarda la concessione della cittadinanza, bè, è abbastanza normale che prestare servizio nell’esercito consenta di accorciare i tempi. Succede, appunto, anche in Francia, dove la cittadinanza si può chiedere dopo cinque anni di servizio. Un’ingiustizia? No, piuttosto un modo per dire grazie a chi indossa una divisa per svolgere un lavoro in cui potenzialmente si rischia la vita. Già adesso, tra l’altro, in base alla legge 5 febbraio 1992, n.91, “lo straniero o l’apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, diviene cittadino se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana”.

 

 

 

Che senso ha, infine, paragonare l’impegno nell’esercito ai lavori in molti casi «sottopagati, senza formazione e ancora meno diritti» che spesso devono fare gli immigrati, come ad esempio il rider o il bracciante nei campi? Al contrario, fare il soldato è un lavoro pagato come si deve e che garantisce formazione di alto livello e totale rispetto dei diritti. E allora perché criticare a priori questa proposta? Perché, come ha fatto qualcuno su internet, tirare fuori il solito fascismo e gli àscari africani dei tempi delle colonie? A qualcuno, evidentemente, gli immigrati vanno bene se portano il sushi a casa ma non se portano la divisa. Però qual è, tra le due alternative, l’esempio migliore di integrazione?

 

 

 

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