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Quel Trono di Spade dei sette regni e dalle mille trame

Torna la serie più vista al mondo

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Il Trono di Spade (un po' scomodo) Foto: Il Trono di Spade (un po' scomodo)
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C'era il destino in agguato, che, come un brigante di strada, aveva abbandonato Jon Snow nella neve, mezzo massacrato dopo l'aggressione dei Guardiani della notte. Poi c'era da comprendere cosa avrebbe riservato il Fato alla madre dei draghi Daenerys del casato dei Targaryen -gli albini che, come i nobili, si pregiavano di unioni incestuose per mantenere la razza pura- , dato che nonostante l'alleanza col nano Tyrion, la nobildonna era ugualmente caduta progioniera. E si doveva stabilire che fine avesse fatto Bran Stark, tuttora latitante nelle sacche di una trama aggrovigliatissima. Insomma. Erano queste e molte altre le aspettative dell'orda dei fan de Il Trono di Spade, non per nulla la serie più vista al mondo. Il primo episodio della sesta stagione è stato trasmesso in contemporanea, lingua originale e sottotitolato, in Usa tra domenica 24 e lunedì 25 scorsi in 173 paesi. Alle 3 di notte su Sky Atlantic HD è stata registrata, con oltre 140 mila appassionati, una share mostruosa dell'8,03%. Tutti volevano capire dove il ciclo fantasy tratto dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin volesse andare a parare. E non l'hanno - ovvio-, ancora capito. Il trono di Spade è una cosa assolutamente a sè rispetto al resto delle produzioni mondiali. Il racconto parte da Tolkien e H. C. Lewis e arriva a Shakespeare: possiede ritmo e drammaturgie da cine kolossal; vanta fotografia e i paesaggi epici. Certo, ogni episodio costicchia: circa 6 milioni di dollari (700 persone di staff, neanche Cecil B. De Mille nei Dieci comandamenti). Certo, per chi non è spettatore affezionato, la sceneggiatura stordisce: tra inganni reciproci, nozze combinate, vipere rosse e serpi della sabbia, battaglie in campo aperto, nani, metalupi e figli dell'Arpia, be', si tende a perdere un tantino il filo della trama. Alcuni colleghi, fan patologici del fenomeno, mi fanno notare che nella nuova serie fa capolino una carica di humour più ricercata, tipo lo scambio che strappa il sorriso nel siparietto tra Tyrion e Varys tra le stradelle di Meeren. In effetti c'erano un botto di epos, quintali di melodramma e sesso come piovesse (quasi come Spartacus, il che è tutto dire) , ma mancava lo humour. Altri colleghi mi suggeriscono che la lotta per il Trono di Spade dei Sette Regni è una matafora geopolitica del potere molto attuale. Non so. M'inchino alla sua potenza, ma torno a leggere i Tre Moschettieri...

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