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Virginia Raffaele, il talento visto dal trapezio

Le buone cose di un'ottima imitatrice

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Raffaele/Berlinguer Foto: Raffaele/Berlinguer
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Come si diceva una volta di Ava Gardner «per essere perfetta le manca un difetto». Per trovare un difetto alla Virginia Raffaela, possente  one woman show -molto meglio di Ava Gardner- di Facciamo che io ero (giovedì, ora mercoledì Raidue, prime time) bisognerebbe essere spettatori d'inesausta tigna. Perché, onestamente, 3 milioni 296mila spettatori col share del 14.6%, per uno spettacolo sontuoso che in America non riuscirebbe a fare nemmeno Tina Fey -molto meno poliedrica di Virginia- ; be'sono, al contempo, un bel riconoscimento, ma pure il minimo sindacale. Il suddetto show, sulla scia di quello di Mika o di molti luminosi Fiorelli si dipana su elementi rappresentati con -diremmo-  zelo registico. Scenografia stroboscopica molto circense (i rimandi familiari della Raffaele sono frequentissimi); un inizio versione acqua e sapone dondolato sul trapezio e un'escalation di gag con imitazione elabratissime, specie nel trucco; presenze sceniche di ospitoni di varie estrazione (il televisivamente sottovalutato Fabio De Luigi sopra tutti, Garko intervistato da una Donatella Versace versione Deve Letterman sotto tutti ); balletti, cantatine, finanche monologhi sulla paura: «Paura del diverso, del buio, dei ladri, dei parenti, dei traslochi, che l'ascensore precipiti, di finire in un errore giudiziario, di essere investiti da un cinghiale sulla Cassia..». Ogni scena del programma è studiata con una maniacalità quasi commovente. Alcune imitazioni di Virginia  sono esilaranti, come quella della  Mannoia calata dall'alto che insulta Gabbani («C'è un francese, c'è un tedesco e un Gabbani»); o come la Bianca Berlinguer pomposa  zarina di se stessa che si avvita nell'ego e tratta i collaboratori tipo colf senza permesso di soggiorno; o come la Michela Murgia alle prese con Dante. Altre performance sono un po' ingenue e attingono a sogni da bambina, tipo il ballo con Bolle sulle note di Dirty Dancing.   Altre sono un po' lunghe. Nel complesso, un varietà molto curato del quale, forse, manca un fil rouge. Ma anche ci fosse, quel fil rouge, Virginia l'userebbe per arrampicarsi sull'ennesimo trapezio, pronta all'ennesimo salto mortale senza rete...

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