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Pensioni, arriva il contributo di solidarietà

Lucia Esposito
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Il buco nelle casse dello Stato c'è e si è ingrossato dopo la trovata (inefficace) degli ottanta euro in busta paga: in qualche modo il governo dovrà riuscire riempirlo. Per farlo il neo-ministro del Lavoro, l'ex dirigente delle Coop Giuliano Poletti, si è fatto venire un'idea non proprio nuova: tagli alle pensioni mascherati da «contributo di solidarietà». Come al solito nel mirino sono finiti gli «assegni d'oro», cioè le superpensioni. Peccato che, come Libero  ha dimostrato già qualche mese fa, quello degli «assegni d'oro» sia un falso mito e, per questa ragione, se tagli ci saranno, dovranno essere sulle pensioni fino a duemila euro. L'Inps paga «solo» 8.559 assegni previdenziali superiori ai diecimila euro mensili che valgono in totale 1,3 miliardi di euro. Un prelievo pari al 50 per cento (e, in quanto tale, a forte rischio illegittimità) del monte super-pensioni garantirebbe un bottino da 661,5 milioni l'anno. Volendo abbassare l'asticella dell'intervento e chiedendo un «contributo», magari del 20 per cento, anche alle pensioni che galleggiano nella fascia che va da 5mila a 10mila euro si metterebbe insieme un gruzzoletto pari a circa 2,4 miliardi. Le pensioni di entità compresa in questo range sono infatti 164.770 e pesano sulle casse pubbliche per 12,4 miliardi. Il grosso delle pensioni pagate in Italia sono infatti molto basse. Quasi sedici milioni di assegni (15,8 per la precisione) si trovano sotto la soglia «simbolica» dei mille euro mensili e il 33 per cento di questi non arrivano a 500 euro; di certo a loro destinatari non si può più chiedere nulla. Non è dunque coi maxi-prelievi sui maxi-assegni che sarà possibile fare cassa, ma, come teme qualcuno, lo si potrà fare soltanto colpendo le pensioni di duemila euro, quelle del cosiddetto «ceto medio». Forse è per questa ragione che, dopo che il collega di governo ha seminato il panico e il centrodestra è insorto, il viceministro dell'Economia Enrico Morando frena: «Escludo che il governo abbia allo studio un intervento sulle pensioni». Il viceministro del Pd si è augurato che prima di toccare le pensioni l'esecutivo si occupi di «vere riforme più urgenti», cioè «lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, fisco». Ad alzare immediatamente le barricate contro un intervento di questo tipo è stata Forza Italia: «Giù le mani dalle pensioni», tuona Il Mattinale. Gli azzurri annunciano - per voce del capogruppo a Montecitorio Renato Brunetta - di voler «difendere fino alla morte il ceto medio». Per il partito di Silvio Berlusconi «dal punto di vista macroeconomico il sistema pensionistico, salvo qualche coda su cui si sta lavorando, non solo è in equilibrio, ma rappresenta una delle soluzioni più avanzate rispetto ai parametri europei». Nemmeno la Bce, sostengono, ha «mai chiesto un intervento di questo tipo», piuttosto una riforma del mercato del lavoro». Sull'ipotesi di un nuovo intervento sulle pensioni è evaporata in un battito d'ali la maggioranza che sostiene Matteo Renzi: «Le pensioni, per favore, lasciamole stare: non possono essere considerate come la tela di Penelope che qualcuno tesse di giorno e altri distruggono di notte», frena Nunzia De Girolamo, capogruppo Ncd alla Camera. Per Giuliano Cazzola, già sindacalista e deputato Pdl poi candidato con Scelta civica, «per raggiungere un risultato sugli 800-900 milioni bisognerebbe introdurre misure draconiane, un vero e proprio esproprio proletario sulle pensioni sopra i 5.000 euro». L'alternativa, stima l'esperto di pensioni, è quella di «colpire chi percepisce un assegno da 2.000 euro lordi, ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, altro che “pensioni d'oro”». Contrari a qualunque taglio degli assegni sono Cgil, Cisl e Uil, mentre Fratelli d'Italia se la prende col ministro del Lavoro e con il Pd. «Il tema delle pensioni d'oro è stato lungamente dibattuto alla Camera grazie alla nostra proposta di taglio accompagnata dall'eliminazione dei vitalizi», ricorda la leader di Fdi, Giorgia Meloni, e «la proposta però è stata bocciata e insabbiata in Parlamento dalla quasi totalità dei partiti, con il Pd di Renzi in testa». Per questa ragione, accusa l'ex ministro, «Poletti o è in malafede o non sa di cosa parla». Paolo Emilio Russo  

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