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Birra, la novità dal regolamento europeo: perché degradano la bionda italiana

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Giovanni Ruggiero
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Dopo averci scippato una lunga serie di informazioni in etichetta destinate a rendere più trasparenti i cibi che mangiamo, incluso lo stabilimento di trasformazione o confezionamento dei cibi, l' Europa ci obbliga a modificare il sistema di classificazione delle birre. Cancellando di fatto le prescrizioni di una legislazione che era la più severa al mondo. A darne notizia sul portale Greatitalianfoodtrade.it è l' avvocato Dario Dongo, uno dei massimi esperti di legislazione in ambito alimentare. Le norme abrogate dal decreto legislativo 231 del 2017, che attua in Italia il Regolamento Ue numero 1169/11, cancellano integralmente la classificazione «dei livelli espressi in grado Plato, vale a dire», spiega Dongo, «quell' indice saccarometrico che esprime la quantità di sostanza secca, il malto, impiegata nella produzione di ogni categoria di bevanda». Fuor di tecnicismo le prescrizioni sui gradi Plato imposte ai birrifici italiani erano le più severe. Al punto che i nostri produttori di bionde (e anche di scure, naturalmente) hanno sempre lamentato un' asimmetria di mercato, a vantaggio dei produttori stranieri, che nei rispettivi Paesi non erano tenuti a rispettare norme tanto stringenti. EFFETTI TANGIBILI Questa cura nella produzione di birra ha avuto per altro effetti tangibili a livello di mercato. In italia la reputazione della birra fra i consumatori è al livello massimo in Europa, come dimostra lo studio «Percezione delle birre e delle birrerie» realizzato da Reputation Institute per conto dell' organismo che riunisce le associazioni nazionali dei produttori di settore nella Ue, inclusa la nostra Assobirra. Nella classifica dei 29 Paesi censiti, inclusa la Turchia, l' Italia a sorpresa ma non tanto è prima assoluta, con un tasso di gradimento da parte dei consumatori pari a 78,2. Vale la pena di notare che la Germania, Paese riconosciuto universalmente per la qualità della propria produzione birraria, arriva soltanto nona nella percezione dei consumatori. Un dato che deve far riflettere. Soprattutto in considerazione del fatto che sono loro a decretare il successo o l' insuccesso di un prodotto, prima ancora che le sue caratteristiche intrinseche. MENO VINCOLI Il superamento dei vincoli imposto dal nuovo regolamento europeo, sempre secondo l' avvocato Dongo, avrà l' effetto di livellare verso il basso anche le nostre produzioni. «La riforma non potrà certo incidere sulla qualità delle acque, primo ingrediente impiegato, né sulla tradizione birraria che da Pedavena ha fatto scuola nel vecchio continente», spiega, «ma la qualità della cervogia più economica, il primo prezzo nel gergo commerciale, verrà allineata verso il basso, al pari della birra straniera da quattro soldi finora venduta nei discount del Bel Paese». Dunque se le bionde di qualità non rischiano nulla, saranno quelle low cost a dover fare i conti con l' allentamento delle prescrizioni. E sempre da Bruxelles può arrivare da un momento all' altro un' altra pessima notizia, in particolare sull' indicazione obbligatoria in etichetta dello stabilimento di lavorazione o imbottigliamento. Nella risposta che il commissario alla Sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis ha fornito ad un' interrogazione presentata dall' eurodeputato italiano Angelo Ciocca (Lega), Bruxelles giudica «le disposizioni incompatibili con il diritto della Ue». L' ennesimo contenzioso con l' Unione europea che il governo Gentiloni - e in particolare l' ex ministro dell' Agricoltura Maurizio Martina - lascia in eredità al nuovo. di Attilio Barbieri

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