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Kosovo, vescovo serbo ortodosso: "Viviamo barricati nei nostri monasteri"

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Roma, 17 giu. - (Adnkronos) - I religiosi serbo ortodossi in Kovovo vivono barricati nei loro monasteri. Il vescovo di Raska e Prizren Teodosije Sibalic, lancia un appello alla comunita' internazionale: non si ponga fine alla missione della Nato Kfor, unica garanzia in questo momento, denuncia, contro l'estremismo e i sopprusi. In seguito alla riduzione dei contingenti inviati in Kosovo dopo la fine della guerra per garantirne la stabilita', "gli unici monasteri protetti sono rimasti quelli di Decani e di Pec", spiega Sibalic in una intervista all'Adnkronos. "Siamo dei privilegiati". A Devic, uno dei monasteri piu' colpiti, danneggiato sia durante la guerra del 1999 che nell'ondata di assalti del 2004 da parte di estremisti albanesi, le suore aprono la porta solo a chi ha preannunciato la sua visita e non riescono ancora a fidarsi della polizia kosovara e' cui e' stata trasferita la responsabilita' sulla loro sicurezza. I 25 monaci che vivono a Decani, un monastero costruito nella prima meta' del trecento, con un candelabro forgiato con le armi dei cavalieri serbi sconfitti nella battaglia di Kosovo Polije, alla fine di quel secolo, su cui i serbi hanno costruito la loro epica, escono dalla proprieta' solamente se scortati dai militari, gli italiani che da 13 anni assicurano loro la protezione 24 ore su 24 (anche in questo caso, il contingente e' passato da 300 a 20 militari). E' per questo che i 25 monaci parlano l'italiano. Ed e' per questo che e' stata istituita l'Associazione amici di di Decani presentata ieri al Centro russo di scienza e cultura ma gia' attiva da tempo per aiutare i serbi che ancora abitano "in enclavi" in Kosovo, restaurare, conservare e far conoscere a tutti chiese e monasteri ortodossi (dalla fine della guerra, sono state distrutte 150 chiese, poche quelle gia' restaurate, denunciani). Presidente, il giornalista e scrittore Paolo Rumiz, fra i consiglieri, il filosofo Massimo Cacciari, il presidente di Intersos Nino Sergi (l'ong ha assicurato la ricostruzione dei dormitori e una nuova caldaia al monastero) e l'archimandrita di Decani Sava Janjic che durante la guerra aveva lanciato sul web i primi allarmi per le sorti del monastero e da Roma auspica che Decani possa trasformarsi in "un ponte di riconciliazione fra i popoli, le etnie e le religioni".

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