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Venticinque anni fa cadeva il muro: l'inizio della nostra rovina

Matteo Legnani
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Parve il compimento di una speranza, troppo a lungo atteso; fu invece, per noi, l'inizio del disastro. Quel 9 novembre di 25 anni fa, insieme al Muro di Berlino, si sgretolò, in diretta televisiva, il moloch comunista: la fine di un'oppressione inumana nel dissolto impero sovietico avrebbe coinciso, nell'Europa occidentale, con la liquidazione dell'ideologia e delle sue cattive utopie, che avevano avvelenato milioni di coscienze per gran parte del XX secolo. Non andò come avremmo creduto: la storia aveva in serbo amare sorprese, di cui oggi possiamo misurare gli effetti nefasti. Per un'anomalia tutta italiana, da noi la principale forza della sinistra non era di matrice socialista, come nel resto del Vecchio Continente; era il Pci, che soltanto per ragioni di schieramento internazionale - l'appartenenza al blocco atlantico - era stata escluso dal governo, ma non dalla condivisione del potere. In una notte, senza alcun merito, si trovò sdoganato. Al contrario, i partiti che dell'anticomunismo avevano fatto una bandiera, segnatamente Dc e Psi, smarrirono all'improvviso funzione e legittimazione, ancor prima di esser travolti da Mani pulite. Così, chi aveva avuto torto trionfò a spese di chi stava dalla parte della ragione. Il Pci divenne Pds senza affrontare alcuna revisione delle proprie coerenze e della propria storia, che al contrario ha continuato a rivendicare con orgoglio, come dimostrano le commemorazioni entusiastiche di Enrico Berlinguer. Gli ex e post comunisti erano portatori di una cultura politica arretrata, che la superficiale rinuncia all'ortodossia marxista-leninista non scalfì di un millimetro: per una parziale svolta in senso autenticamente socialdemocratico bisognerà attendere il Lingotto di Veltroni, nel 2007. Nel frattempo, i cattolici democratici avevano realizzato, dopo un'attesa ventennale, il progetto di compromesso storico, portando in dote il proprio armamentario, ben lontano anch'esso dall'essere al passo con i tempi. Dal canto loro, burocrazie organizzate, poteri dello Stato e potentati economici, rimasti orfani degli antichi protettori cui si erano legati durante la Prima Repubblica in un reciproco scambio di interessate cortesie, si misero al servizio del nuovo padrone, per difendere privilegi, interessi di casta, chiusure corporative. In Italia, di conseguenza, il Novecento non è mai finito e la modernizzazione resta un'aspirazione frustrata. Sul piano geopolitico, la caduta del Muro ha comportato conseguenze anche peggiori. Venuta meno l'Urss, l'Italia perse il ruolo di cerniera tra Oriente e Occidente che per quasi mezzo secolo le aveva garantito generosi benefici. Il solo Andreotti, negli anni Novanta, comprese che la riunificazione della Germania sarebbe stata foriera di guai, in primo luogo economici. Oggi siamo ridotti al rango di una riottosa colonia tedesca.  Non basta: mentre noi non siamo riusciti a sbarazzarci delle residue quote di socialismo reale presenti nel nostro ordinamento e che ingessano ogni possibile sviluppo, i paesi dell'Est europeo, troppo in fretta ammessi nell'Unione europea, hanno economie agili, con le quali non riusciamo a competere. Come se non bastassero Cina e India, quel che un tempo si fabbricava nei capannoni accanto a casa esce adesso da aziende croate, romene o polacche, delocalizzazione compresa. Risultato: declino, disoccupazione e impoverimento. Non ci è andata meglio sul versante sociale: la prima ondata migratoria che ci ha travolti proveniva dall'ex blocco sovietico. Prima ancora degli africani, degli orientali e dei latinos, sono arrivati gli slavi a lacerare il tessuto civile delle città e a cambiare per sempre la nostra geografia interna. La cultura egemone, prodotto delle sacrestie bianche e rosse, ha elaborato il dogma secondo il quale l'immigrazione è una risorsa e l'accoglienza un obbligo. Non è vero, ma guai soltanto a pensarlo. I tedeschi si preparano a festeggiare il 9 novembre, che da noi dovrebbe essere invece un giorno di lutto. Nessuno, nelle commemorazioni, avrà l'ardire di ricordarlo, ma dobbiamo esserne consci: anche se i bravi compagni della DDR che lo eressero non potevano certo immaginarlo, il Muro di Berlino sarebbe servito a proteggere noi, non loro. di Renato Besana  

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