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Tutte le schiave costrette a prostituirsi nel nome di Allah

Nicoletta Orlandi Posti
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Le notizie di cronaca che ci arrivano quotidianamente dal mondo arabo non mancano di raccontare di episodi di violenza e di atroci ingiustizie. Protagoniste sono quasi sempre le donne. Da ultimo le voci provenienti dalla Tunisia, che parlano di ragazzine, reclutate dai salafiti nei quartieri popolari delle periferie delle grandi città e inviate in Siria per quella che è stata definita la «Jihad del sesso». Lo scopo? Soddisfare i mujaheddin impegnati a combattere il governo di Bashar al-Assad. Le parole del Ministro dell'Interno tunisino Lotfi Ben Jeddou testimoniano una realtà agghiacciante: «Ogni donna ha avuto rapporti sessuali con venti, trenta uomini, tornando a casa incinte».  La pratica della jihad sessuale, che consente di avere rapporti carnali al di fuori del matrimonio, non esiste nei paesi arabi ma, per i salafiti, è considerata come una forma legittima di Guerra Santa. Da sottolineare l'abilità di uno sceicco saudita che, resosi conto della non ammissibilità, dal punto di vista religioso, dei rapporti sessuali dei mercenari islamisti, lontani dalla famiglia e dalle proprie mogli, nei mesi scorsi ha emesso una fatwa ammettendo di fatto lo stupro di donne e ragazzine. Il tutto con la giustificazione che tale speciale permesso ha l'obiettivo «rafforzare il coraggio e accrescere le capacità e la morale durante il combattimento». Con tanto di paradiso assicurato alle povere ragazze. Senza minimamente considerare che queste sono praticamente costrette in schiavitù, vendute al primo offerente come merce di scambio per soddisfare qualsiasi bisogno dei ribelli siriani. Dietro la giustificazione religiosa sulla quale si è fatto astutamente leva, dunque, si nasconde una mera prostituzione legittimata. E queste donne, che nel migliore dei casi metteranno al mondo dei bambini dei quali non conoscono il padre, sono destinate a restare sole e a essere considerate quasi come una piaga per una società che, soprattutto nelle zone rurali, le considera alla stregua di prostitute perché madri senza compagno. Risulta strano parlare in questi termini della Tunisia, sicuramente non tra i più retrogradi tra i paesi arabi. Facendo un salto all'indietro nel tempo sapremmo che le giovani vestivano alla moda come le loro coetanee di Londra e Parigi.  Passando in rassegna fotografie e immagini dei lontani anni '20 vedremmo addirittura che nessuna donna portava il velo, così come le studentesse degli anni '80 che hanno tutte quante il capo scoperto. Solo negli anni '90, con l'avvento dei movimenti integralisti, è iniziato quel processo di imbarbarimento che ha portato il paese ad arretrare culturalmente e a creare terreno fertile per l'attecchimento del fondamentalismo islamico, culminato nella presa di potere dei Fratelli Musulmani. Il velo è diventato il simbolo che contraddistingue la parte più fanatica dell'Islam.  Sembrerà strano, ma è nei paesi occidentali che l'Islam estremista trova maggior terreno fertile. Si tende, con la scusa della tolleranza, a lasciare spazio alle comunità musulmane giustificandone mostruosità che vengono messe a tacere proprio per non creare un conflitto che sfoci nell'intolleranza. Ma qualcosa sta cambiando: l'Europa multietnica sta tornando sui suoi passi. Il cambiamento di rotta ha origine proprio da chi, affiancandosi a coloro che si sono meravigliati della foto che ritrae due giovani intenti a scambiarsi un bacio in una strada egiziana, ignora che trattavasi, fino a qualche anno fa, di pura normalità. di Souad Sbai

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