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"Sono guarito dal cancro mettendo La Cura sul web"

Lucia Esposito
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La rinascita di Salvatore Iaconesi comincia da un cancro al cervello.  La storia della sua malattia - all'inizio - è drammaticamente simile a quella di tanti altri. La sentenza che arriva crudele nel 2012 alla fine di una giornata d' agosto. Dal sole feroce di un' estate romana, Salvatore si ritrova in un letto d' ospedale. Non è più Salvatore Iaconesi, con il suo lavoro di ingegnere robotico e hacker, le sue passioni, i suoi lavori di artista e designer: improvvisamente non è altro che un malato. Salvatore diventa quella macchia su una lastra, il numero del suo letto. I medici spesso non lo guardano in faccia, non alzano lo sguardo neanche per comunicargli le peggiori previsioni sul suo futuro, gli occhi fissi su quella maledetta macchia. Salvatore è solo il suo cancro. E' quando la sua scomparsa come essere umano gli diventa insopportabile che la sua storia cambia, segue una via diversa dalle altre. Salvatore si ribella a tutto questo. Con la sua compagna Oriana Persico, che è poi diventata sua moglie, prende una decisione che farà correre la sua malattia su un binario nuovo e, chissà (ma questo nessuno può dirlo) forse cambia per sempre il destino di Salvatore. Certamente fa una rivoluzione che da Roma rimbalza nelle case di mezzo mondo e compie il giro del pianeta: pubblica sul web la sua cartella clinica. E adesso Salvatore e Oriana tengono conferenze e workshop da una parte all' altra del globo per raccontare cosa si sono inventati per coinvolgere più persone possibili, trovare il maggior numero di alleati contro quella macchia infame che gli cresceva nel cervello. La loro esperienza è diventata un caso sociale e medico. Ci può spiegare cosa le venuto in mente? «Decido di cambiare direzione, di dare un senso a quello che stava succedendo. I dati della mia cartella clinica diventano la metafora di questo cambiamento: rendendoli pubblici mi riapproprio della possibilità di guardarli e di aprirli alla società ponendo la domanda: "Come mi potete curare"»? Ma per cura intendeva le medicine giuste? «Dobbiamo metterci d' accordo su cosa vuole dire la parola "cura". "La Cura" non è mai stata la ricerca di una qualche forma di cura miracolosa per il cancro. Piuttosto, invece, è stato - ed è tuttora - l' espressione della necessità di cambiare il significato della parola "cura". La ricerca di una cura che, come il cancro, sia complessa, interconnessa, capace di far interagire e dialogare discipline, pratiche e metodi differenti tra loro. E per poterle poi confrontare, sperimentare e per poter agire su piani diversi attraverso le scienze, la società, le tecnologie. E infine per trovare il modo in cui tutti possano avere un ruolo nella cura, ognuno con le proprie differenze e il proprio valore». Nasce il sito www.lacura.it che inizia con il suo video in cui dice in inglese: "Salve, mi chiamo Salvatore Iaconesi e ho un cancro al cervello". Cosa succede a questo punto? «Mi contattano un milione di utenti. Arrivano migliaia di mail da tutto il mondo, dall' America alla Russia è un continuo flusso. Sono inondato di consigli su come curarmi, su cosa mangiare, nascono poesie, opere d' arte, articoli di giornale, c' è chi mi manda soluzioni di accompagnamento spirituale e chi mi suggerisce tecniche di respirazione. La cosa pazzesca è proprio la diversità delle reazioni. Ognuno ha cercato di darmi qualcosa a suo modo». Immagino anche truffatori… «Certo, c' è chi ha cercato di vendermi medicinali, mi sono arrivati messaggi di ciarlatani ma decisamente pochi rispetto alle centinaia di migliaia di persone che hanno voluto condividere con me questo momento. Malati ma anche oncologi, medici, neurochirurghi, tanta gente comune che aveva vissuto o stava vivendo un' esperienza come la mia, e che mi contattavano per i motivi più diversi». Ma lei lo ha fatto per sentirsi meno solo? «No. Lo scopo era di comprendere a fondo quell' ingenuità di credere che ci si ammali da solo e che, di conseguenza, ci si possa curare da soli o in un solo modo». Si spieghi meglio. In che senso non ci si ammala da solo? «Se mi ammalo io si ammalano la mia famiglia e i miei amici, ma anche il mio datore di lavoro perché non vado più in ufficio, si ammala il negoziante sotto casa dove andavo a fare la spesa e dove non vado più. La malattia appartiene a tutti». Quale messaggio tra quelli che le sono arrivati l' ha colpita di più? «Non voglio indicarne uno solo perché ognuno ha la sua dignità. Ma ogni persona che mi ha contattato, per come sapeva e poteva mi ha indicato una cura medica, spirituale, artistica, letteraria….». A un certo punto lei doveva decidere se e dove farsi operare alla testa. Come ha scelto? «E' stata una convergenza molto interessante tra le informazioni che avevo trovato, il parere di persone di cui mi fido, diversi messaggi che ho ricevuto e addirittura di alcuni colleghi delle università in cui insegno che si sono riuniti per capire cosa potessero consigliarmi. Tra le diverse opzioni è emerso il nome del professor Vincenzo Esposito sia per motivi tecnici e tecnologici, sia per gli approcci umani e culturali». Nel frattempo La Cura diventa un libro (pubblicato da CodiceEdizioni), scritto da lei e da sua moglie Oriana. Raccontate la vostra esperienza dal primo giorno, ripercorrete tutti i momenti della sua malattia e parlate dell' esperienza pazzesca de "La Cura". Ma si è mai chiesto se fosse andata male? «Ripeto: tutto diventa chiaro se ci si mette d' accordo sul significato de "La Cura". Non si tratta di scoprire o sperimentare chissà quali discipline alternative o miracolose, ma di comprendere nuovi modi di intendere cosa vuol dire "curarsi" e "curare". In questo senso non c' è nulla che potrebbe essere andato male». Consiglierebbe a un ammalato di fare lo stesso? «Io non voglio consigliare nulla a nessuno. L' unica cosa che desidero è la liberà di prendere le proprie decisioni, di assumersi le proprie responsabilità e di poter disporre del proprio corpo e del proprio immaginario, individualmente e insieme alla società». Adesso cosa accade sul sito? Le scrivono ancora, le chiedono come sta? Vogliono sapere di lei? «La cosa sorprendente è che la mia vicenda ormai è diventata marginale. La Cura ora è una comunità in cui si parla anche di altri temi, nascono dibattiti più disparati ci si confronta anche su argomenti diversi». Oriana che con Salvatore ha vissuto il dramma della scoperta del cancro, l' esperienza de La Cura, spiega come la malattia sia diventata anche un' opportunità per la coppia. «La nostra vita ha acquisito profondità. Queste esperienze possono separare, ma noi grazie a La Cura siamo riusciti a costruire un processo di trasformazione della malattia in qualcos' altro. Le faccio un esempio: sono pazza della cicatrice di Salvatore sulla testa. Perché mi ricorda che Glio (così Oriana ha battezzato il tumore, ndr) è esistito". Umberto Veronesi scrive che noi tutti dovremmo ringraziare Salvatore per aver dato alla diagnosi di cancro la massima visibilità, per aver aperto al mondo la sua cartella clinica e per aver provato a rompere i tabù che circondano questa malattia. Resta una domanda: e adesso? Parla Oriana che cita l' ultimo capitolo del libro: "Lieto fine (ogni sei mesi)". «La vita va avanti. Sei mesi alla volta, per adesso. Ogni sei mesi i controlli ci diranno se Salvatore è libero dal cancro o se qualcosa sta di nuovo crescendo nel suo corpo». I giorni precedenti il controllo? «Vivi come in apnea. Cerchi di controllarti ma non ci riesci. Quella cosa lì è sempre in fondo ai tuoi pensieri». Però nel libro scrivete che questi controlli ogni sei mesi hanno anche qualcosa di positivo. Anche questo può sembrare assurdo. Risponde Oriana: «Hai la percezione che tutto possa finire, improvvisamente. Sembra una cosa orribile ma non lo è. Inizi ad attribuire un enorme valore al tempo. Capisci l' importanza di dedicare tempo alle cose che vuoi realmente fare e a far scivolare via le altre. Diventi più consapevole e anche più intollerante verso le cose e le persone che non ami, quelle che senti che ti stanno facendo sprecare i tuoi preziosi sei mesi. Ti importa sul serio dei tuoi sei mesi perché sai che potrebbero essere gli ultimi». Nel libro scrivete che siete addirittura grati al cancro. Sembra una follia… «Il cancro ha portato tra noi la paura della morte ma poi ci ha regalato una nuova vita, in cui siamo profondamente connessi con il resto del pianeta, in cui tutti possono raggiungerci gioiosi, nella possibilità di collaborare verso un futuro migliore e più desiderabile». LUCIA ESPOSITO

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