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Ibernato per 24 ore dopo l'infartoSi risveglia sano e senza danni

Intervento "fantascientifico" a Bologna: congelato con un kit a placche dopo un arresto cardiaco, un 27enne si risveglia: "Non ricordo nulla"

Andrea Tempestini
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Lo sapeva già Ippocrate, V secolo a.C., che il ghiaccio ferma le perdite di sangue.  Lo sanno i ragazzini che giocano a calcio, quando si sbucciano un ginocchio e lo sciacquano sotto l'acqua fredda.  Il gelo fa bene. Si chiama ipotermia terapeutica e, nella sua forma più sofisticata, la scorsa settimana ha salvato la vita (o perlomeno evitato danni cerebrali permanenti) a un ragazzo di 27 anni della provincia di Bologna.  Affrontava un esame postuniversitario, improvvisamente il malore, la chiamata al 118. I soccorsi sono stati lodevolmente tempestivi: all'arrivo dell'automedica, constatato l'arresto cardiaco, il giovane è stato sottoposto a defibrillazione, intubato e infine gli è stata indotta l'ipotermia terapeutica mediante otto speciali placche adesive rettangolari contenenti un gel che abbassa la temperatura corporea a 35 gradi centigradi.  Il principio dell'ipotermia è quello di abbassare, insieme alla temperatura, il metabolismo cerebrale, diminuendo il fabbisogno energetico del sistema nervoso centrale. In questo modo si limitano i danni provocati, in condizioni normali, dalla scarsa affluenza di sangue al cervello a causa dell'arresto cardiaco. Importante è la rapidità con cui viene indotto lo stato di raffreddamento del paziente, e la tecnica usata in questo caso, il kit di placche, è in grado di accelerare il raffreddamento corporeo con una velocità di 15 volte superiore a quelle tradizionali. A quel punto il cervello ha minore bisogno di energia, di conseguenza minori sono i danni dovuti all'arresto circolatorio.  È come uno stato di sospensione, un processo non tanto lontano dall'ibernazione che conosciamo dai film di fantascienza, dove si vedono gli astronauti risvegliarsi come statue che prendono a muoversi, uscendo dalle capsule che li conservavano in una temperatura tale da arrestare il decadimento corporeo, mentre il lunghissimo viaggio interstellare si compiva.  Ricoverato in rianimazione all'ospedale Maggiore di Bologna, dopo 24 ore la temperatura del paziente è stata gradualmente riportata alla normalità. All'edizione bolognese del Corriere ha riferito di «non ricordare nulla» dopo il malore durante l'esame. Sta bene, non ha danni neurologici.  Anche lui, come gli astronauti di “2001 Odissea nello Spazio” o “Alien”, è come fosse stato in sospensione, in un limbo a 35 gradi centigradi tra la vita e la morte.  Adesso verranno fatti gli accertamenti per capire le ragioni dell'arresto cardiaco, probabilmente dovuto a un'infiammazione del miocardio, il muscolo del cuore. Ma quello che è più affascinante è ipotizzare gli sviluppi dell'ipotermia terapeutica, o “raffreddamento corporeo programmato” come si dice anche in linguaggio clinico, il cui studio, soprattutto nel campo del recupero delle vittime di arresto cardiocircolatorio, è relativamente recente, risalendo a poco prima della metà del secolo scorso.  Oggi l'ipotermia terapeutica è un trattamento preferenziale nei casi di arresto cardiaco. Ma non è difficile immaginare un domani, nemmeno troppo remoto, in cui il freddo sarà un alleato prezioso per tutti i casi in cui occorre interrompere la vita senza spezzarla, per consentire alla macchina umana di essere riparata, senza comprometterne i cicli vitali.  E poi, rimetterla in pista, come se il danno non fosse mai avvenuto. I benefici del caldo, specialmente in questa stagione estiva, sono ben noti, e dimentichiamo invece quanto dobbiamo al gelo, al ghiaccio. Siamo abituati a pensare che serva a conservare gli alimenti. Ora servirà sempre più a conservare anche noi stessi. di Giordano Tedoldi

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