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Mussolini playboyIl Duce nelle donnecercava protezione

Festorazzi stila una biografia erotico-sentimentale del capo del fascismo: logorato dalla politica, cicondato da cortigiani interessati, aveva bisogno di evadere dal sistema per essere se stesso

Lucia Esposito
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Al termine di questa scorribanda tra le decine di amanti del Duce-playboy, provo a riassumere i punti nodali del rapporto di Mussolini con le donne. Poiché rimango convinto che il Capo del fascismo fosse un uomo fondamentalmente solo, schiavo del suo mito al limite dell'alienazione, bisogna partire da queste coordinate per spiegare il suo bisogno di compagnia femminile. Il mito del Duce fu creato da Margherita Sarfatti, che puntellò Mussolini nelle tappe decisive della sua completa e totalitaria affermazione sulla scena nazionale (dalla fondazione del Popolo d'Italia alla Marcia su Roma, fino alla nascita della dittatura). La “nazionalizzazione” del corpo del Duce, cuore del culto della personalità, consegnò di fatto l'entità fisica di Mussolini alle masse in mistica adorazione del simbolo vivente della Patria fascista redenta dalle sue miserie ataviche. Ma questa ostensione del corpo del Duce, centro della vita pubblica del regime, espropriò il dittatore della sua sfera privata. Mussolini stesso si autorappresentava, in termini coloriti, come il ”bue nazionale”, condannato al giogo di un lavoro fisico e mentale incessante. È certo che Benito, anche per sfuggire al menage famigliare insoddisfacente, trascorresse alla scrivania anche le giornate festive, persino quelle tradizionalmente votate all'intimità domestica, come il Capodanno. Il “mito del Duce”, ad un certo punto, divenne una specie di fiera, una belva che imponeva sacrifici di sangue sempre più ingenti: nutrire il mito significava concedergli un tributo quotidiano di carne cruda, come se quel corpo mistico della nazione fosse fatto metaforicamente a fette e servito in pasto alle masse. Il rapporto di Mussolini con le donne deve essere spiegato alla luce di questa condizione di autosegregazione che rese il Duce “murato vivo” nella mitopoiesi. La ricerca della compagnia femminile fu dunque la reazione comprensibile di un uomo che non aveva più una vera vita privata e che lottava per combattere l'annullamento e la metabolizzazione della sua persona fisica dentro il corpo della nazione. Ma a questo si deve aggiungere un altro elemento molto importante. Proprio perché l'esercizio del comando, durante il Ventennio, obbedì a uno stile di esasperata personalizzazione, Mussolini, oltre a cercare nelle donne una fuga e un'evasione, vedeva nelle sue amanti delle interlocutrici alle quali esternare i suoi dubbi e le sue insicurezze. Siamo ancora prigionieri del mito del Dux, sia pure di segno contrario rispetto ai tempi eroici: ciò che oggi sopravvive di quella narrazione epica è, piuttosto, un anti-mito, ma pur sempre assoluto nelle superlative valenze negative attribuite al personaggio, come se il Duce si fosse impadronito soltanto dei territori del sublime o dell'orrido, privandoci delle altre possibili alternative per rappresentarlo. Perciò, ancora oggi, tendiamo a considerare Mussolini come un superuomo privo di debolezze e di tare psicologiche. È vero invece il contrario. Ferito e logorato da decenni di feroce lotta politica, il Duce degli anni dall'apogeo al declino era un uomo che desiderava esprimersi ed essere ascoltato, al riparo da orecchie interessate e spietatamente interne al gioco politico al quale tentava di sottrarsi. Non potendosi fidare di nessuno, in particolare dei suoi cortigiani, Mussolini cercava nelle figure femminili delle interlocutrici sensibili alle quale potersi abbandonare, per rivelarsi, alla fine, per ciò che era, senza timore di essere giudicato o, peggio, smascherato nelle sue debolezze. Le donne, a quel tempo, erano outsider, non partecipavano se non marginalmente alla vita pubblica del regime. Ciò le rendeva, ai suoi occhi, estranee al colorito mondo di intrighi e di bassezze morali con il quale era ogni giorno a contatto. Dunque, se vogliamo essere obiettivi, più che un erotomane, dobbiamo considerare Benito come un uomo povero di rapporti umani autentici, anche per via della progressiva erosione degli spazi della sua privacy, che gli impediva, quasi, di contare su persone amiche e disinteressate. Le sue amanti, in questo senso, più che essere per lui un semplice trastullo o un gingillo, costituirono forse le sole persone in grado di risarcirlo delle sue mutilazioni affettive e della sovraesposizione della sua figura sulla scena pubblica. A ciò si deve aggiungere che gli furono tanto più care le donne che seppero esercitare una funzione protettiva e rassicuratoria. Con ciò non intendo sostenere che Mussolini fosse casto come un frate trappista. No, era un uomo che cercava nel contatto umano con il mondo femminile anche quei rinforzi di tipo psicologico ai quali il suo carattere di vanesio aspirava. Grande narciso, Benito desiderava ricevere approvazione, sostegno, ammirazione, dalla favorita di turno che calcava la scena. Insomma, l'esplorazione di questa dimensione del Duce è in grado di fornirci una indiretta risposta agli interrogativi riguardanti le cause che condussero il regime, nel giro di pochi anni, dall'apogeo alla propria fatale autodistruzione. Se lo stesso uomo che aveva creato dal nulla quel sistema, sentiva il bisogno di evaderne, ciò significa che in tale sistema vi era qualcosa di disumano e, in fondo, spaventoso. Scrivendo questa sorta di biografia erotica di Mussolini sono giunto a tale conclusione. Non so se il lettore, al termine di questa carrellata di trofei femminili del Duce, la condivida o meno.

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