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Dalla Costituente a senatore a vita: settant'anni di politica

In Parlamento dalla prima seduta nel dopoguerra, è stato 7 volte presidente del Consiglio. Dopo la morte della Montalcini era il più anziano di Palazzo Madama

Matteo Legnani
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    Nato a Roma nel 1919 da genitori originari di Segni, in Ciociaria, rimase precocemente orfano del padre e perse anche Elena, l'unica sorella. Nella Capitale frequentò il ginnasio al "Visconti" e il liceo al "Tasso". Si iscrisse poi alla facoltà di Giurisprudenza dove si laureò il 10 novembre del 1941 a pieni voti. Fu durante gli studi che entrò a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, che era l'unica associazione cattolica riconosciuta nelle università durante il fascismo, nella quale si formerà buona parte della futura classe dirigente democristiana. Nel luglio del 1943 prese parte ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli. Il 30 luglio 1944, al Congresso di Napoli, fu eletto nel primo Consiglio nazionale della Democrazia cristiana e il 19 agosto divenne responsabile dei gruppi giovanili del partito. In tale carica verrà confermato dal Congresso giovanile di Assisi del gennaio 1947. Costituente, governo, camera dei deputati - Fu De Gasperi ad introdurlo nella scena politica nazionale, designandolo quale componente della Consulta nazionale nel 1945 e successivamente favorendone la candidatura alle elezioni del 1946 all'Assemblea Costituente. I due si conobbero casualmente nella Biblioteca Vaticana dove De Gasperi aveva un modesto impiego concessogli dal Vaticano per consentirgli di sfuggire alla miseria cui lo voleva condannato il regime fascista. Andreotti divenne così parte del quarto governo De Gasperi, venendo poi eletto nel 1948 alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone, in quella che sarà la sua roccaforte elettorale fino agli anni novanta. Andreotti mantenne la carica di sottosegretario alla Presidenza in tutti i governi De Gasperi e poi nel successivo governo Pella, fino al gennaio 1954. Ad Andreotti furono affidate numerose e ampie deleghe (fra le altre, quelle per lo spettacolo, lo sport, la riforma della pubblica amministrazione, l'epurazione).  Ministro e capogruppo Dc - Nel 1954 è per la prima volta ministro, guidando gli Interni nel brevissimo primo governo Fanfani. Successivamente diventa ministro delle Finanze. La corrente andreottiana nasce in quegli anni. Nei primi anni sessanta fu ministro della Difesa quando esplose lo scandalo dei fascicoli SIFAR e del Piano Solo, un presunto progetto di golpe neofascista, promosso, secondo il settimanale L'Espresso, dal generale missino Giovanni De Lorenzo. Nel dicembre del 1968 viene nominato capogruppo della Dc alla Camera, incarico che manterrà per tutta la legislatura fino al 1972. Presidente del Consiglio - Nel 1972, Giulio Andreotti diventa per la prima volta Presidente del Consiglio, incarico che reggerà, alla guida di due esecutivi di centro-destra, fino al 1973. Continua a ricoprire incarichi di primo piano, nei successivi esecutivi. Così, tra il 1974 e il 1976 ricopre il ruolo di Ministro del Bilancio nei governi Moro IV e Moro V. Compromesso storico -  Nel 1976, il governo, presieduto da Aldo Moro, perse la fiducia dei socialisti in Parlamento e il Paese si avviò alle elezioni anticipate, che videro un forte aumento del Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer. La Democrazia Cristiana riuscì, anche se solo per pochi voti, a restare il partito di maggioranza relativa. Forte del buon risultato elettorale, Berlinguer propose, appoggiato anche da Aldo Moro e Amintore Fanfani, di dare concretezza al compromesso storico, ovvero alla formazione di un governo di coalizione fra PCI e DC, per superare la difficile situazione dell'Italia dell'epoca, colpita dalla crisi economica e dal terrorismo. Fu proprio Andreotti ad essere prescelto per guidare il primo esperimento in questa direzione: egli varò nel luglio del 1976 il suo terzo governo, detto della "non sfiducia" perché, pur essendo un monocolore, si reggeva grazie all'astensione dei partiti dell'"arco costituzionale" (tutti tranne il MSI-DN). Questo governo cadde però nel gennaio del 1978. A marzo la crisi fu superata grazie alla mediazione di Aldo Moro, che promosse un nuovo esecutivo, sempre un monocolore democristiano ma sostenuto dal voto favorevole di tutti i partiti compreso il PCI (votarono contro solo MSI, PLI e SVP). Il nuovo governo fu nuovamente affidato ad Andreotti e ottenne la fiducia in Parlamento, il 16 marzo, lo stesso giorno del sequestro di Moro. Il ruolo di Andreotti nella gestione del sequestro Moro è fortemente controverso. Rifiutò ogni trattativa con i terroristi in nome della ragion di Stato, sposando la linea della fermezza e scatenando forti critiche contro di lui da parte della famiglia dello statista rapito. Dopo l'omicidio di Moro, nel maggio del 1978, l'esperienza della solidarietà nazionale proseguì, portando all'approvazione di importanti leggi, come la riforma sanitaria. La richiesta dei comunisti, per una partecipazione più diretta alle attività di governo, fu respinta dalla DC: di conseguenza Andreotti si dimise nel giugno del 1979. Nei successivi quattro anni, Andreotti non ricoprì alcun incarico a Palazzo Chigi.  Ritorno al governo - Nel 1983 Andreotti assume la carica di Ministro degli Esteri nel primo governo Craxi, incarico che mantiene nei successivi governi fino al 1989. Forte della sua pluridecennale esperienza di uomo politico, Andreotti favorì il dialogo fra USA e URSS, ma nella gestione filoaraba della politica estera fu oggettivamente in consonanza con il premier, schierandosi con lui nella questione della risoluzione negoziata del dirottamento della nave Achille Lauro. Anche grazie a questi sviluppi, svolse successivamente un ruolo di tramite fra Craxi e la Democrazia Cristiana, i cui rapporti erano tutt'altro che idilliaci. Gli scontri fra il carismatico leader socialista e il segretario democristiano Ciriaco De Mita erano all'ordine del giorno, tanto che i giornali parlarono dell'esistenza del triangolo CAF (Craxi-Andreotti-Forlani): quando tale intesa sottrasse a De Mita la guida del governo, nel 1989, fu chiamato nuovamente alla presidenza del Consiglio, incarico che resse fino al 1992. Senatore a vita - Nel 1991 diventa senatore a vita. L'anno successivo era considerato uno dei candidati più papabili per la carica di presidente della Repubblica. Quella di Andreotti, che era studiata come una candidatura da far emergere dopo l'affossamento delle altre, divenne però a sua volta del tutto impraticabile dopo l'assassinio del giudice Giovanni Falcone a Palermo: il fatto che due mesi prima fosse stato assassinato a Palermo Salvo Lima, della medesima corrente di Andreotti, fu giudicato in Parlamento un evento di scarsa presentabilità pubblica, in una situazione di emergenza nazionale nella lotta alla mafia. Nel 1994, allo scioglimento della Democrazia Cristiana, aderì al Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli, partito che lascerà nel 2001, in seguito alla nascita della Margherita. Dal 30 dicembre 2012, giorno della scomparsa di Rita Levi-Montalcini, era il più anziano senatore in carica.        

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