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Il Cav: "Se mi condannanoMarina a capo del Pdl"

Marina Berlusconi

Andrea Tempestini
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«Se mi confermano la condanna, il prossimo candidato premier sarà un Berlusconi. Passerò subito il testimone a mia figlia Marina». È questo il coniglio che il Cavaliere intende tirare fuori dal cilindro se per lui oggi la politica dovesse diventare off-limits.  Negli sfoghi delle ultime ore, Silvio Berlusconi prefigura il peggio. E se davvero la Suprema Corte oggi confermerà la condanna per frode fiscale a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici, ha pensato già a come mettere in sicurezza il suo partito e restituire onorabilità al suo nome, che «i magistrati hanno tentato di infangare in tutti i modi in questi vent'anni». Berlusconi per la sua successione ha in mente solo un cognome: il suo. «Non mi arrendo e non mi arrenderò mai», ha più e più volte ripetuto ai suoi fedelissimi in queste drammatiche giornate, e se la Cassazione farà di lui un leader in cattività, sarà disposto a cedere il posto solo a sua figlia. Innanzitutto perché questo gli consentirebbe di competere lo stesso, in qualche modo, alle prossime Politiche, lasciando il suo cognome nel simbolo della scheda elettorale (Berlusconi Presidente). E l'unico mezzo per il Cavaliere di restare sulla scena è lasciare il partito all'amatissima primogenita Marina, che non a caso è stata la prima dei figli ad arrivare a Palazzo Grazioli, precipitandosi a Roma già martedì. Mentre gli altri sono attesi in giornata. Nell'entourage di Palazzo Grazioli sanno benissimo che il capo pensa da tempo a una successione dinastica nella leadership del centrodestra e danno quasi per scontata l'investitura della presidente di Mondadori. Anche se lei non scalpita per scendere in campo. Ma sarebbe pronta al gran sacrificio per amore di papà. E, se davvero i giudici supremi oggi condanneranno Silvio, il passaggio delle consegne potrebbe avvenire già dopo l'estate, quando sarà battezzata la nuova Forza Italia. Già a settembre Marina potrebbe traslocare da Segrate a San Lorenzo in Lucina, nuova sede del partito. Il restyling del Pdl è l'ammazzastress preferito dell'ex premier in questi giorni per sentire di meno il peso della spada di Damocle che pende su di lui dal Palazzaccio. Anche ieri il Cavaliere ha scelto di aspettare la sentenza finale in quasi totale solitudine. È rimasto blindato tutto il giorno a via del Plebiscito, dove non mette il naso fuori casa da lunedì pomeriggio e dove anche ieri ha voluto circondarsi solo dei fedelissimi. È stato Gianni Letta, alle 10, il primo e quasi il solo nella giornata a cui è stato concesso di varcare la soglia di Palazzo Grazioli, sprangata anche agli alti dirigenti del Pdl. Nessun vertice in programma, ma solo riunioni con i più stretti collaboratori, oltre ai legali che da due giorni fanno la spola tra via del Plebiscito e la Suprema Corte.  Ma l'attesa si fa ormai troppo lunga. Sempre più insopportabile per il Cavaliere. I tempi supplementari dell'udienza davanti alla sezione feriale penale della Cassazione gli stanno logorando i nervi. E inizia a mostrare la corda il profilo di statista che si è ritagliato in questi mesi. In Berlusconi resiste l'intenzione di continuare a sostenere il governo Letta, ma si fanno sempre più insistenti gli assalti del demone che lo sprona a mandare tutto all'aria. Paradossalmente, il suo momento di maggiore debolezza coincide per l'ex premier con uno dei momenti di sua massima forza. Falchi e colombe, sempre divisi su tutto e in particolare sul destino del governo, su una cosa adesso si esprimono all'unisono: qualunque sarà il verdetto finale, faranno quello che dirà il Cavaliere. Un imperativo categorico che accomuna i pasdaran alla squadra governativa del Pdl. Tutti i ministri, nel momento in cui fosse pronunciata una condanna, andrebbero dritti dal capo a consegnare il loro mandato governativo nelle sue mani. Spetterà al Cav a quel punto decidere se staccare o no la spina a questo strano esecutivo. L'ex premier ha sempre detto che le sue sorti giudiziarie e quelle di Palazzo Chigi viaggiano su due binari diversi, ma è difficile prevedere come reagirà davanti a una bruciante condanna. Berlusconi oggi ha davanti a se tutti i bottoni, su di sé lo sguardo di Giorgio Napolitano e, dentro, l'atroce dubbio se attenersi o no ai moniti dettati dall'inquilino del Colle alla Camera quando ha accettato il secondo mandato.  Al momento, il Cav continua a predicare calma e gesso. Ieri infatti ha frenato la manifestazione di solidarietà organizzata da Daniela Santanchè a via del Plebiscito oggi alle 17, più o meno l'ora in cui dovrebbe uscire la sentenza. La pasionaria del Pdl, infatti, oltre a pubblicizzare l'appuntamento via Twitter, aveva iniziato a mobilitare i coordinatori regionali chiedendo di organizzare pullman per portare più gente possibile a Roma. A fermare tutto sarebbe stato lo stesso Cavaliere su suggerimento sia dei sui legali (Franco Coppi in testa), sia di Gianni Letta: non si può alzare la tensione, lo hanno avvertito, mentre la sentenza magari ancora non è nota. È intervenuto persino un falco come Denis Verdini a gettare acqua sul fuoco: «Da giorni, siamo letteralmente inondati da testimonianze spontanee di vicinanza, affetto e solidarietà, ma ci siamo assunti la responsabilità di fermare tutti. Nulla deve avvenire in un momento tanto delicato per il Paese», ha sottolineato Verdini smentendo la notizia di una manifestazione sotto Palazzo Grazioli. Ma il silenzio imposto dal Cav inizia a pesare di brutto tra i giacobini del Pdl e sale la voglia di «rivoluzione totale» in caso di condanna. Non è esclusa una autoconvocazione della folla dei simpatizzanti di Silvio in via del Plebiscito oggi, in caso di verdetto negativo. E Palazzo Grazioli dista solo cinque minuti dal Quirinale... di Barbara Romano

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