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Massimo D'Alema, Alan Friedman lo massacra: "Chi è davvero quell'uomo"

Giovanni Ruggiero
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Chi conosce la carriera di Massimo D'Alema sa quanto sia quantomeno opportuno evitare di averlo come nemico politico o personale, la differenza per lui farebbe poca differenza. In un ampio ritratto di Alan Friedman su La Stampa, la figura di Baffino emerge in tutta la sua verità come lo spietato "serial killer della politica", come lo definì chissà quanto bonariamente Achille Occhetto. Non che quest'ultimo fosse uno stinco di santo, sia chiaro: proprio con D'Alema strinse il "patto del garage" nel 1984, nel giorno dei funerali di Enrico Berlinguer. Alessandro Natta era diventato segretario del Partito Comunista, D'Alema e Occhetto già lavoravano per farlo fuori. Un piano sviluppato in circa quattro anni, messo a segno anche grazie all'infarto che indebolì il segretario comunista e permise ai due giovani emergenti di sbarazzarsene. Di tutti i successi collezionati da D'Alema in carriera, non se ne trova uno felice: "È sempre stato bravo a remare contro - dice Friedman - all'interno del suo stesso partito". Nel vocabolario di Baffino la differenza tra avversario e nemico non risulta neanche per sbaglio. E i compagni di viaggio non se la sono mai passata tanto meglio: dopo che si è sbarazzato di Occhetto e Walter Veltroni, è stato il turno di Romano Prodi, per quanto lui neghi ogni sua responsabilità sulla caduta del governo nel 1998. Su Prodi a dirla tutta ci sarebbe stato da parte di D'Alema una sorta di accanimento. Nell'aprile 2013 Baffino avrebbe pugnalato una seconda volta Prodi al quarto scrutinio per le votazioni del Presidente della Repubblica, quando spuntarono quei famosi 101 franchi tiratori nel Pd. Secondo molti anche Renzi in quella circostanza ha avuto le sue colpe. Certo fa venire i brividi ricordare come Prodi si sia reso conto che non sarebbe più salito al Quirinale già qualche ora prima, parlando al telefono con D'Alema. Che caso. Leggi anche: D'Alema, come lo riduce Salvini: "Bevi meno vino, hai dsitrutto l'Italia" Da tre anni Baffino era già impegnato a battagliare su un altro fronte, quello contro Matteo Renzi tutto intenzionato a rottamarlo con tutto il suo gruppo. C'è voluto tempo e non poco impegno, ma goccia a goccia D'Alema è riuscito a bucherellare la barca di Renzi per poterla vedere affondare lentamente. Al referendum del 4 dicembre 2016 ha esultato per la sconfitta dell'allora premier, poi dimessosi. Al congresso successivo ha visto il partito spaccarsi, portando via con sè buona parte degli eredi del Pci. Leggi anche: "Dopo il voto? Spero che Berlusconi...", D'Alema senza pietà, la frase tombale su Renzi Non contento di aver lasciato il Pd in agonia, D'Alema ha dato vita a Liberi e Uguali, provando a mettere insieme le schegge impazzite della sinistra orfana di Vendola e Bertinotti. Il volto scelto per la campagna elettorale è il presidente del Senato Pietro Grasso. Chi tira i fili di tutto il teatrino è sempre Baffino, libero di poter dire quel che vuole, per esempio sperando in un "governo del presidente" con chiare aspirazioni personali, senza che nessuno dento LeU si permetta di contraddirlo, se tiene alla pelle.

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