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Napolitano, il golpe 2011 e la guerra in Libia. Crosetto lo sputtana: "Ero contrario, mi fece sbattere fuori"

Giulio Bucchi
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"Lei ora esca di qua". Un nuovo tassello nel tragico mosaico del 2011 a firma Giorgio Napolitano. È marzo, si stanno ponendo le basi politiche del "golpe" contro il governo di Silvio Berlusconi. L'allora presidente della Repubblica obbliga il Cavaliere a scendere in guerra contro la Libia di Gheddafi, per "allinearci con gli altri in Europa". Berlusconi non è l'unico contrario all'opzione militare. Tutto avviene in una convulsa riunione d'emergenza convocata al teatro dell'Opera di Roma, il 17 marzo. Sono presenti, oltre a Napolitano e Berlusconi, il suo consigliere diplomatico Bruno Archi, Gianni Letta, il presidente del Senato Renato Schifani, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, con quello degli Esteri Franco Frattini collegato da New York. Leggi anche: Bisignani a bomba, "Napolitano ci spieghi perché..." C'era anche Guido Crosetto, all'epoca sottosegretario alla Difesa. "Mi buttarono fuori dalla stanza quando dissi che la guerra in Libia era una pazzia totale, ne avremmo pagato le conseguenze. In quel momento chi ricopriva la più alta carica istituzionale in quella stanza mi fece accompagnare fuori. Fu Giorgio Napolitano". Al Fatto quotidiano l'ex Pdl, oggi candidato con Fratelli d'Italia, entra nel dettaglio: "Ho detto, come iperbole, che ci mancava solo che facesse chiamare i carabinieri. Ero contrario all'intervento e ho ricordato anche le perplessità dello Stato maggiore: gli unici contrari alla partecipazione italiana all'intervento eravamo io e Silvio Berlusconi. A quel punto Giorgio Napolitano mi ha detto di andarmene perché non avevo titolo a stare lì. Insomma, mi ha buttato fuori". Le perplessità dei vertici militari erano relative al Dopoguerra: "Il Paese spaccato e in mano alle tribù, la destabilizzazione dell'area anche dal punto di vista dei fenomeni migratori. Cioè quello che abbiamo visto da allora a oggi". Quisquilie, per Re Giorgio.

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