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Saluto romano, secondo la Cassazione non è reato se fatto per commemorare

Giovanni Ruggiero
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Non è reato fare il saluto romano durante una commemorazione di militanti dell'estrema destra: "le manifestazioni del pensiero fascista e dell'ideologia fascista in sè non sono vietate", data la "libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite", ma "lo sono solo" se "pongono in pericolo la tenuta dell'ordine democratico e dei valori allo stesso sottesi". Così la prima sezione penale della Cassazione ha confermato l'assoluzione di due imputati, giudicati con rito abbreviato, che erano finiti sotto processo penale per aver fatto il saluto fascista durante una manifestazione, svolta a Milano il 29 aprile 2014, promossa da alcuni appartenenti al partito Fratelli d'Italia per ricordare Enrico Pedenovi, consigliere provinciale del Msi-Dn, Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, e Carlo Borsani, che aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Leggi anche: Berlusconi, la domandina di Fazio sul fascismo: "Torna? Guardi che...", polverizzato La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal procuratore generale di Milano contro la sentenza di assoluzione che era stata pronunciata dalla Corte d'appello del capoluogo lombardo: secondo il pg, condotte come il "saluto romano" integrano il reato di concorso in manifestazione fascista (previsto dalla legge Scelba del 1952) per la "connotazione di pubblicità che qualifica tali espressioni esteriori, evocative del disciolto partito fascista, contrassegnandone l'idoneità lesiva per l'ordinamento democratico ed i valori ad esso sottesi". Di diverso avviso la Cassazione, che ha definito "logico e puntuale" il percorso argomentativo seguito dai giudici del merito: alla luce di pronunce della Corte costituzionale, si spiega nella sentenza depositata oggi, "la fattispecie penale in contestazione non colpisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all'ambiente in cui sono compiute". I giudici milanesi "hanno ritenuto dirimente - spiega la Corte - la natura puramente commemorativa della manifestazione e del corteo, organizzati in onore di tre defunti, vittime di una violenta lotta politica che ha attraversato diverse fasi storiche. A questo esclusivo fine, dunque, erano dirette le condotte in contestazione senza alcun intento restaurativo del regime fascista. In questo senso - si legge ancora nella sentenza - depongono le modalità ordinate e rispettose del corteo, svoltosi in assoluto silenzio, senza inni, canti o slogan evocativi dell'ideologia fascista, senza comportamento aggressivi, minacciosi o violenti nei confronti dei presenti, senza armi o altri strumenti. Si è in tal modo escluso che la manifestazione in esame, pur in presenza di ostentazione di simboli e saluti fascisti, avesse assunto connotati da suggestionare gli astanti inducendo negli stessi sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista". Questo a differenza di altri casi in cui la giurisprudenza ha ravvisato gli estremi del reato: "il caso di chi intona 'all'armi siam fascistì, inno considerati come professione di fede ed incitamento alla violenza - ricorda la Cassazione - il caso di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale, il caso di coloro che dopo la lettura della sentenza compiono il saluto romano e gridano più volte la parola 'sieg heil'". I giudici di piazza Cavour rilevano anche di essersi già pronunciati sulle posizioni di alcuni soggetti coinvolti nello stesso processo (ma che non optarono per il rito abbreviato) e poi prosciolti: anche in quell'occasione, si ricorda nella sentenza odierna, si stabilì che il delitto di manifestazione fascista, previsto dalla legge Scelba, "è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sè, attese le libertà garantite dall'articolo 21 della Costituzione, ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi".

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