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Vincenzo Scotti, parla il papà dei ministri grillini: "M5s-Lega non si può fare"

Gino Coala
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Fondatore e presidente della Link Campus University, l' ateneo dove insegnano un paio di ministri del governo presentato da Di Maio prima del voto, Vincenzo Scotti, a 85 anni, è sospettato di essere il grande vecchio che manovra dietro i Cinquestelle. Certo che la Dc è immortale «Guardi, la Dc ha concluso il suo ciclo storico e non tornerà più. Quanto a me, non potrò mai diventare grillino, non rientra quindi nel novero delle cose sensate: provengo da un altro mondo». Eppure in tanti dicono che M5S è la nuova Dc «Un' altra bufala. Geograficamente le aree di consenso sono in parte sovrapponibili ma lo scenario politico, economico, sociale e culturale e il personale sono totalmente diversi. Quanti elettori grillini conoscono la Dc? Quello per noi era un voto anche ideologico, quello verso M5S è un voto di insofferenza verso certa arroganza della politica e di emergenza sociale». Di Maio si è rimangiato antieuropeismo e no alla Nato. In più è ossequioso verso il Quirinale e le liturgie politiche e ha indicato nella lista dei ministri M5S professori che insegnano nella sua università. Tre indizi fanno una prova: davvero lei non c' entra nulla? «Ma lei pensa che una sola persona possa condizionare un Movimento? Sarei matto a dirlo. C' entro invece perché i miei professori indicati dai grillini sono bravi e la mia università racconta l' Italia con più obiettività e libertà dei centri studi organici al potere tradizionale, perciò è più vicina alle nuove tendenze politiche insofferenti al sistema, e quindi anche a M5S». Però il cambio di tono politico di Di Maio è impressionante «Sta cercando di cavalcare la tigre e trasformare il Movimento in una forza istituzionale». Il M5S sta cambiando pelle? «Ambisce ad assumere responsabilità di governo e pertanto inizia a fare i conti con la realtà effettiva, al di là delle promesse. Come diceva Machiavelli, inizia a discutere della Repubblica che esiste, non di quella che sogna». Vincenzo Scotti è un pezzo di storia recente d' Italia ritornato d' attualità. Apprezzato da Di Maio quanto da Tajani, il più volte ministro e sottosegretario democristiano della prima Repubblica si è ufficialmente ritirato dalla politica. «Chiusi nel 2011, quando lasciai in punta di piedi il governo Berlusconi, del quale ero sottosegretario agli Affari Esteri, prevedendo quel che sarebbe accaduto. Silvio sbagliò l' approccio alla crisi perché mal consigliato dai suoi esperti economici. Di fatto, non colse la gravità dell' attacco speculativo e politico al suo governo». Oggi Scotti giura di dedicarsi anima e corpo solo alla sua universtià, «che ha anticipato molti temi esplosi in campagna elettorale, dalla manipolazione delle informazioni, al fallimento dello story telling agli errori dei leader sconfitti. Prima di criticare M5S» spiega «Pd e Forza Italia dovrebbero chiedersi cosa hanno fatto per evitarne l' affermazione e contenerne la delegittimazione dei partiti e della democrazia parlamentare. Le rispondo io: nulla. Criminalizzare l' avversario è inutile, anzi gli porta consenso: guardi con Salvini, più gli davano del razzista più saliva nei sondaggi. Sull' immigrazione servono fatti, non teorie. Nel 1991 ero ministro dell' Interno e a Ferragosto mi ritrovai dall' oggi al domani 30mila albanesi sulle spiagge pugliesi. Andai a Bonn a chiedere aiuto alla Ue e mi dissero di arrangiarmi. Ciononostante, rimpatriai tutti in tre giorni e avviai subito l' operazione militare Pellicano, di assistenza alla popolazione, e una politica di creazione dell' economia in loco portando le aziende italiane a investire a Tirana». Europa sempre matrigna? «Col tempo è peggiorata. Si è allargata troppo e troppo in fretta, per di più senza un reale progetto di coesione. Risultato, è un guazzabuglio dove ogni Stato gioca per sé e alla fine a comandare è il più forte. La colpa però è nostra, non degli altri: Germania e Francia fanno i loro interessi in carenza di una nostra politica. L' Italia non è stata capace di trovare il proprio ruolo e interesse nazionale nella Ue. Mostrandosi indecisa tra la richiesta tedesca di altri regolamenti e quella francese di maggiori azioni comuni». Devo confessarle che sono tra coloro ai quali l' idea di Di Maio premier fa tremare le gambe «Non c' è un esame per giudicare se Di Maio ha la stoffa, certo però il M5S avendo ambizioni di governo non poteva restare attaccato a un comico e alla tecnica solo distruttiva». Meglio essere comici per scelta che risultare tali involontariamente, non trova? «Ripeto, un leader va verificato sul campo. Le critiche ad alcune proposte del M5S possono essere condivisibili, ma non dimentichiamoci che a muoverle spesso sono proprio quelli che hanno concorso a generare quello che chiamiamo rifiuto della politica attribuendola oggi ai movimenti» . Come si spiega il boom elettorale di Cinquestelle,con il reddito di cittadinanza? «In realtà le ragioni sono più ampie e in parte simili a quelle della crescita di Salvini. Entrambi esprimono anche una domanda della società che rivendica autonomia e ruolo contro una politica che si intromette nella vita dei cittadini e nell' economia, mostrando il volto arrogante del potere. Sono movimenti che pongono problemi di metodo oltre che di merito». Parlare di autonomia per M5S, sono comandati da un blog «Io sto parlando di percezione, non di realtà. Berlusconi e Renzi hanno perso perché sono stati visti dagli elettori come espressione di un potere distante e autoreferenziale. M5S e Lega hanno vinto perché hanno venduto un' idea diversa di politica e di gestione del governo, più attenta al singolo e più aggressiva verso i poteri forti, il dramma dell' immigrazione e le diseguaglianze legate ad una globalizzazione senza regole. Questione di marketing politico, diremmo, ma non solo. Quasi tutti i mezzi di comunicazione li hanno attaccati, con effetti opposti a quelli sperati. I grandi quotidiani da anni hanno concorso a delegittimare la politica attribuendole ogni responsabilità e così facendo hanno lavorato per le forze critiche del sistema e contro Pd, Forza Italia e i partiti tradizionali, identificati come la degenerazione della politica. Altra stupidaggine è stata sostenere che i Cinquestelle crescevano grazie a internet e ai guru Grillo e Casaleggio. M5S è cresciuto non solo grazie agli errori degli altri e per il radicarsi nella vita di tutti i giorni dell' iniziativa dei singoli membri del Movimento». E i cosiddetti nostri saperi? «Intellettuali e professori hanno fatto la loro parte. Non in pochi casi i saperi nel nostro Paese rinunciano ad essere coscienza critica. Abbiamo tanti consiglieri del principe, che non aiutano i leader a vedere con realismo il Paese, e pochi liberi pensatori». Il voto è stata una reazione anche agli intellettuali di regime? «Una larga fetta del Paese si è sentita tagliata fuori dal gioco. Il processo è iniziato nel 1992, quando i giudici contribuirono a far saltare il sistema dei partiti ideologici aprendo la strada alla delegittimazione del Parlamento e al tentativo di costruzione di una Repubblica popolare. Questo ha prodotto il leaderismo e i partiti liquidi, che hanno retto finché non c' è stata la crisi. Quando però la gente ha iniziato a stare male, ha realizzato che la democrazia dal basso non era mai nata e si è rivolta a forze che promettono una diversa partecipazione alla vita politica, opponendosi a governi che sembravano sempre più l' espressione di un ristretto circolo di potere e di un ceto politico e sociale autoreferenziale. Di Maio e Salvini sono riusciti a rappresentare questo disagio, mostrandosi non supini ai poteri forti e all' Europa. Certo, adesso ai due non bastano più le parole forti, per comandare devono inventarsi qualcosa». Fatto sta che siamo all' impasse: come andrà a finire? «Queste consultazioni mi hanno reso evidente che nessuno degli attori in scena ha metabolizzato le conseguenze del voto. Il sistema elettorale era stato pensato per una vittoria del centrodestra o al massimo a una grande coalizione ma l' inaspettato sorpasso della Lega su Forza Italia ha sovvertito il quadro, addirittura più della sonora sconfitta dei Dem o dell' affermazione dei Cinquestelle, che in fondo sono meno sorprendenti». Ha detto che le affermazioni di M5S e Lega hanno motivazioni simili: questo significa che partirà un governo giallo-verde? «Siamo a fine ciclo e per questo non vedo possibili intese forti e durature, anche perché Di Maio e Salvini saranno costretti a sfidarsi faccia a faccia al prossimo giro. Quanto al governo giallo-verde, il passaggio da due non vincitori a una coalizione è arduo, per ragioni personali e di merito. Allo stato degli atti, mi sembra che difficilmente Salvini mollerà Berlusconi, non tanto per questioni di lealtà quanto per calcolo: se si tornerà a votare presto, scenario più che probabile, la Lega non può ancora permettersi di correre da sola». E allora cosa immagina? «Difficile azzardare previsioni. Analizzando con freddezza direi che non c' è soluzione al rebus. L' unica certezza è che non ci sarà una riedizione di un governo stile Monti. Mattarella è diverso da Napolitano e non ama le forzature democratiche. Penso che il Colle, con la scusa della pressione di scadenze e impegni europei impellenti, e con il fatto che nessuno vuole più uscire dalla Ue, tenterà di tirare dentro tutti e spingerli a cambiare la legge elettorale, per esempio introducendo un premio di maggioranza che garantisca governabilità». Compreso il Pd? «Il Pd continua a commettere un errore. Una forza politica che ha lottato per governare non va all'opposizione, viene mandata all'opposizione. Scegliere l' opposizione dopo elezioni senza un vincitore solo perché si è perso più degli altri mi sembra non credibile. Al Partito Repubblicano di La Malfa bastava il 3% per tenere in scacco un governo, i Dem sono al 18. La loro rinuncia a una battaglia per il governo è un errore perché rischiano di apparire più attenti ai loro problemi interni che al benessere dei cittadini, ai quali non sfugge il calcolo speculativo che il Pd fa sulla loro pelle: sperare che vada tutto male per risorgere sulle ceneri altrui non è una tattica che porta voti e simpatia a chi la mette in pratica». Berlusconi come si sta comportando? «È sotto botta ma tatticamente si sta muovendo bene: tiene sotto pressione l'avversario interno, Salvini, e non gli lascia un metro di spazio. Se poi mi chiede della sua strategia, questa per me è un mistero». Scommette su un nuovo scenario tripolare: la sinistra con Cinquestelle, la destra con i sovranisti e al centro lui e i renziani? «Se Silvio si stacca dalla Lega, non va da nessuna parte. Se lo lasci dire da un vecchio democristiano, l'idea di un centro che sia mediatore e bilanci i due estremi è un tocco d' inesistente che non ha spazio nel panorama attuale. La campagna elettorale è stata tutto un demonizzare la grande coalizione di centro, come si può tirarla fuori ora? Stesso discorso vale per i progetti renziani di un macronismo all'italiana». di Pietro Senaldi

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