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Napolitano ha deciso: dopo le riforme si dimetterà

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Re Giorgio aspetta solo che il "patto del Nazareno" si traduca in realtà per lasciare la poltrona del Quirinale. Il presidente potrebbe lasciare entro il 2014

Ignazio Stagno
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Un minuto dopo la conclusione del percorso delle riforme, Giorgio Napolitano lascerà. Lo ha già deciso. E ogni giorno che passa guarda a quella scadenza con maggiore attesa. Anche per questo, oltre ovviamente che per la portata politica dell'iniziativa, non vede l'ora che riforma elettorale, superamento del Senato elettivo e riforma del Titolo V siano approvati. Non c'è, perciò, diffidenza nel silenzio che sta tenendo in questi giorni e che in alcuni ambienti vicini a chi conduce la trattativa non è passato inosservato. È vero: il presidente che ha abituato a quotidiane dichiarazioni, richiami, appelli, rimbrotti è chiuso in uno strettissimo riserbo. E proprio nei giorni in cui si va compiendo quella riforma che Napolitano auspica e sollecita dall'inizio del suo primo mandato. Quindi da almeno otto anni.  Particolarmente prudente è stato anche nel messaggio dell'altro giorno, quello che ha inviato al congresso di Sel. Ha parlato della «crisi economica», dei «problemi del lavoro e del disagio sociale». Infine ha accennato alla «necessità di pervenire al più presto all'approvazione di riforme istituzionali». Una locuzione che, nel gergo dei politologi, sta a indicare le riforme della Costituzione, ma non quella elettorale.  Al Quirinale si conferma la prudenza con cui Napolitano si sta muovendo in questi giorni. Ma si spiega che è dovuta al fatto che il momento è cruciale, delicatissimo. Si è aperta una discussione, c'è una proposta che sta cominciando l'iter parlamentare. Napolitano si augura che venga approvata e «con il consenso più ampio». Come ha sempre detto. Ha seguito con fastidio le polemiche che ci sono state nel suo partito, il Pd, per il fatto che Renzi ha cercato il dialogo con Silvio Berlusconi. È il leader del secondo partito, è normale che il segretario del Pd parli con lui.  Per il resto, il suo silenzio è una scelta. Qualsiasi parola che pronunciasse in questo momento, si spiega, potrebbe essere usata strumentalmente da chi vuole questa o quella modifica. Per questo evita di parlarne. Ma spera che la riforma si faccia il prima possibile. Anche perché il compimento del pacchetto su cui si è siglato l'accordo - riforma elettorale, superamento del bicameralismo, riforma del Titolo V - coinciderà con le sue dimissioni. Su questo, ormai, non ha più dubbi. Napolitano incomincia a essere stanco. Due mandati sono pesanti. E le polemiche che periodicamente lo colpiscono hanno reso ancora più grave questo compito.   Un'altra ragione di prudenza è data dal fatto che non vuole essere trascinato nella contesa tra Matteo Renzi ed Enrico Letta (che ieri, forse per provare ad uscire dall'angolo, ha rivendicato via Twitter l'«inizio della riduzione delle tasse sul lavoro», spiegando che «invece di 3 miliardi di euro, il costo totale dei premi Inail cala a 2 miliardi, da pagare a maggio e non a febbraio»). A Napolitano non sfugge nemmeno che la conflittualità tra i due è crescente. Un fatto che, certo, non gli fa piacere, anche perché il presidente della Repubblica è in qualche modo garante di questo governo, anche se vede i tanti limiti della sua azione. In ogni caso segue con attenzione la trattativa, tenendosi in contatto ogni giorno con i protagonisti del dossier. Prima di tutto con Matteo Renzi, con il quale sta costruendo un rapporto che era iniziato piuttosto male. Ma si sente anche con Angelino Alfano e, naturalmente, con Gianni Letta.   di Elisa Calessi

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