Milano, 17 apr. (Adnkronos Salute) - Ogni giorno fanno i conti con le 'leggi' imposte da una società in cui la magrezza è un imperativo, e a causa della loro condizione vivono in media 10 anni meno dei sani (-9 le donne, -12 gli uomini). Gli obesi nel nostro Paese sono circa 6 milioni (il 10,6% della popolazione, l'11,6% dei maschi e il 9,5% delle femmine), aumentati del 25% dal 1994. Un'emergenza che si associa a una spesa record calcolata in 88 miliardi di euro all'anno, sommando costi diretti (23 miliardi di cui 11 a carico del Servizio sanitario nazionale) e indiretti (65 miliardi). Nei casi più gravi "la chirurgia è l'unica terapia universalmente riconosciuta", affermano gli esperti della Sicob (Società italiana di chirurgia dell'obesità e delle malattie metaboliche). "Oggi però operiamo solo 7 mila pazienti l'anno, quando invece potremmo salvarne 1 milione se l'attività dei 100 centri di eccellenza italiani fosse riconosciuta come salvavita, messa in rete e sostenuta". Da Milano, alla vigilia del Congresso congiunto Sio-Sicob in programma da domani al 20 aprile ad Abano Terme (Padova), i chirurghi dell'obesità lanciano oggi un appello: "Bisogna smettere di pensare che l'obesità sia una colpa e iniziare a considerarla una malattia, quale è", esordisce il presidente eletto Sicob, Marcello Lucchese. Ed "è ora di sfatare l'idea che le operazioni di chirurgia bariatrica siano interventi estetici. Sono interventi salvavita e come tali vanno trattati". Di conseguenza occorre arrivare in breve a "un network ufficialmente riconosciuto da Regioni e ministero della Salute - fa eco il presidente emerito della Società, Pietro Forestieri - che riunisca e i centri già operativi in Italia". Ma è necessario lavorare anche per aumentarli e distribuirli meglio lungo la Penisola. Oggi, precisa infatti l'esperto, "la maggior parte delle strutture si concentra al Nord e in particolare in Lombardia, mentre il Centro ospita un 30% e il Sud un piccolo 10%". Più nel dettaglio, le strutture sono ben dislocate solo da Nord fino a Roma". Ma poi, fatta eccezione per "3-4 grandi centri in Campania" e per "alcune altre strutture in Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna", i buchi nella rete sono troppo larghi. Intere regioni sono quindi sguarnite, mentre "in ognuna servirebbe almeno un centro di riferimento". Un altro problema è il fatto che "l'attuale sistema dei Drg (i rimborsi regionali dei ricoveri) - aggiunge Forestieri - è nella gran parte dei casi non solo non remunerativo, ma spesso non riesce nemmeno a coprire le spese vive dell'intervento e della degenza. Perciò chiediamo con forza alle istituzioni sanitarie anche l'adozione di una remunerazione specifica per ogni intervento, diversificata sulla base dei costi diretti e indiretti, estremamente variabili e facilmente documentabili".