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Agon Channel, il concorrente contro la tv albanese: "Mi hanno minacciato di morte"

Andrea Tempestini
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Agon Channel non ha pace. Dopo le dimissioni seguite da esternazioni al veleno di Antonio Caprarica, la tv albanese in lingua italiana che ha debuttato un mese fa sul nostro digitale terrestre è ancora al centro delle polemiche. Le solleva il 38enne Alessio Lanzi, fiorentino, personal trainer, concorrente (fino a poco fa) del reality My Bodyguard condotto da Maddalena Corvaglia, che a Libero racconta la sua disavventura a Tirana culminata con una denuncia «per minacce di morte» fatta sabato scorso contro uno degli allenatori della trasmissione. Lanzi ripercorre dall'inizio la sua vicenda, culminata con la denuncia. «L'estate scorsa», racconta, «la produzione del programma, per conto di Agon Channel, viene nella palestra per cui lavoravo a Milano a fare dei provini per The Bodyguard. Decido di provare». Passa qualche settimana. «A settembre torno dalle ferie e ricevo una telefonata: “Sei piaciuto, vieni a fare un secondo provino ad Assago”, mi dicono. Vado». I primi di ottobre arriva la seconda telefonata. «Mi chiamano dicendo di avermi preso nel cast. “Devi venire a Tirana per 3/4 mesi”, mi dicono. La partenza era fissata per i primi di novembre. Penso: “Perché no?”. Andare in tv mi avrebbe dato visibilità e un ritorno d'immagine, e magari permesso di allargare la clientela». Il 9 novembre, Alessio parte per Tirana. «Io e gli altri concorrenti, 20 all'inizio, andiamo negli studi e mi rendo conto che la storia dei container è vera. Agon ha due capannoni in condivisione con la Agon albanese. Fuori si vedono i mobili coperti da cellophane: visto che hanno solo due studi, smontano e rimontano tutto 24 ore su 24, un giorno una nostra puntata è stata registrata da mezzanotte alle 5 del mattino perché non hanno spazio». Note di colore a parte, Lanzi ricorda la prima polemica: «Gli autori spiegano a noi concorrenti aspiranti guardie del corpo, che My Bodyguard è una cosa seria, così come gli allenamenti e la preparazione. I primi problemi riguardano il cibo. La produzione ci offre vitto e alloggio. Si mangia in mensa: a pranzo c'è solo riso e fagioli. Tutti i giorni. E a cena solo spaghetti aglio e olio. E basta. Zero frutta e verdura, né carne. L'alimentazione è importante, specie per chi fa lavori come il mio. Il programma, poi, si basa sulla forma fisica. Al capo-cuoco, in mensa, abbiamo chiesto la bresaola, ma lui ha detto che era fuori budget: costava troppo». Dopo la protesta, Lanza e colleghi ottengono di poter pranzare con un menù diverso. «Alle 15, con orario cambiato: la nostra conquista è stata il petto di pollo. Poi la sera abbiamo deciso di andare, a nostre spese, al ristorante, tanto per non mangiare sempre e solo aglio e olio». Seconda polemica. «Per contratto erano previste otto ore di lavoro quotidiane. La paga giornaliera era di 25 euro. Poco, ma era un investimento su me stesso, per la visibilità. Ogni due settimane erano previsti due o tre giorni di visita in Italia, ma non è mai avvenuto, in realtà. E qui inizia il delirio: casini, disorganizzazione, orari folli. Esempio: ci convocavano alle 9 del mattino, ma il bus che doveva venirci a prendere non arrivava. Alle 10 chiamavano, ma nulla. Le 11, le 12, niente. Arrivano alle 13. Ci vengono a prendere, poi un'altra ora di attesa, a volte in autobus, a volte per strada. Giravamo mezz'ora di programma. Poi ancora attesa. In pratica dieci ore in ballo per fare nulla». Lamentele anche per i meccanismi del format. «Il programma era un disastro. Jill Cooper, la nota insegnante di fitness e addestratrice di My Bodyguard, doveva farci fare un allenamento rigido, secondo il programma. Non era vero. Con lei abbiamo lavorato 50 minuti in totale, che alla fine sono diventate 4 puntate. Poi c'era Antonio, un altro allenatore, albanese. Con lui dovevamo esercitarci ogni giorno. Una bufala. Ci faceva correre sei minuti, qualche flessione, due addominali come non si facevano dagli anni '30, roba che fa male al fisico. Ci ha mostrato come va eseguita la rianimazione su una persona. Sa come? Mettendosi a cavalcioni sulla vittima. A cavalcioni! Assurdo». Altro episodio sgradevole: «Non ho detto il peggio», continua Lenzi, «noi concorrenti del reality condividevamo un appartamento. Tra di noi c'era un ragazzo albanese che in casa girava con una pistola calibro 9, carica. Era un militare. Un altro, sempre albanese, si vantava che picchiava la sua fidanzata. E questa sarebbe la tv del futuro...». Scontenti della disorganizzazione e dei disagi («Una sera abbiamo cenato in bus, al buio, facendoci luce coi telefonini»), Lenzi e altri concorrenti parlano con i responsabili del canale. «Parlo con la direttrice e le spiego che abbiamo almeno bisogno di un programma dettagliato che ci fissi orari e impegni. Ci stringiamo la mano. Dice che va bene, e se il programma non fosse arrivato saremmo stati autorizzati a non andare al lavoro. Il programma ci arriva, ma è ridicolo. C'era scritto solo: farsi trovare pronti per le 9». Chiedono allora un incontro con Francesco Bacchetti, editore di Agon Channel. «Andiamo all'appuntamento, fissato negli studi, speranzosi di venire ascoltati. Ma era una buffonata. Erano pronte le telecamere: volevano filmare la protesta. Il trash del trash. Bacchetti parla di Caprarica, dicendo che chi lascia e parla male di Agon avrebbe pagato di tasca sua i lavoratori. Poi se ne va». A questo punto arrivano «le minacce di morte». «Viene da me Antonio, l'allenatore, fuorioso, mi intima di non parlare. Gli rispondo che parlo quando mi pare e piace. Davanti ai colleghi e agli autori, mi dice: “Ti sparo in testa e ti taglio la gola». Gli autori non dicono nulla. Lui torna da me e mi mette le mani addosso. Ivano, mio collega, ci separa. Siamo a mercoledì scorso. Sabato 20 dicembre vado all'ambasciata italiana, parlo con un carabiniere, vado alla polizia locale e sporgo denuncia per minacce». Lanzi ha lasciato il programma e, dopo un mese e mezzo a Tirana, è tornato in Italia. Ci invia una copia della denuncia, che Libero pubblica. Abbiamo contattato Agon Channel per una replica alle (pesanti) accuse. Ma per ora senza esito. di Alessandra Menzani

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