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Se non sei gay "non puoi lavorare": chi sarebbe il razzista?

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Un'azienda vanta l'appoggio della Regione Lombardia e offre posti in radio e web-tv: basta non essere etero

Giulio Bucchi
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Quando un disoccupato decide di rispondere all'annuncio di un'azienda tipo Play Gay Italia srl, dev'essere predisposto, non solo professionalmente. Cercano personale da inserire in una web-tv, in una web-radio e nel più grande e importante portale internet del mondo gay europeo,  nonché della più completa  app gay per tab, i-Phone e smartphone. Sull'impostazione della linea editoriale, non c'è spazio per i dubbi. Quel che potrebbe sorprendere sono i requisiti richiesti per i candidati da destinare al ruolo di impiegati/e, web-disegner, programmatori, segretarie, cameraman, addetti allo studio radio/televisivo, tecnici audio/fonici, inviati esterni, speaker e addetti all'ufficio stampa. Ai quali si offrono «assunzione a norma di legge con contratto a tempo indeterminato, 14 mensilità annue, retribuzione netta annua di euro 17.000, auto aziendale (smart), telefono aziendale e premi produzione», ma s'impone un'unica limitazione, consistente nella «ricerca di personale ambosesso “assolutamente” gay». Pensano di essersela cavata così, perché la legge impedisce la discriminazione fra uomini e donne nelle offerte di lavoro. Eppure  in fondo all'inserzione, comparsa dal 25 aprile su music-jobs.com e su numerosissimi siti web di ricerca del personale, si specifica, che «non verranno presi in considerazione» i currriculum di «chi non appartiene al mondo gay». Dimenticano soltanto che è vietato anche, per legge, escludere qualcuno in base a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età, all'orientamento sessuale. Insomma, se non si possono emarginare gli omosessuali, non significa che invece sia consentita la discriminazione contraria, ai danni degli eterosessuali, magari pure gay friendly. Nonostante lo strano concetto di uguaglianza di genere o di pari opportunità, i promotori vantano, sin dalla prima riga, una copertura politico-istituzionale, in pratica un'approvazione ufficiale dell'iniziativa imprenditoriale, che si dichiara «supportata dall'ausilio della Regione Lombardia e Progetto Italia». In realtà, alle fonti del Pirellone contattate da Libero non risulta di aver mai concesso patrocini o finanziamenti a progetti come quello che «consisterebbe nell'organizzazione e nell'assemblaggio di più idee possibili riguardo il mondo gay (maschile e femminile), di nuove scoperte ed orizzonti, allo scopo di integrare senza alcun tipo di tabù e senza limiti i gay nel mondo del lavoro, nel modo di essere se stessi, di essere integrati nelle strutture pubbliche, nelle università, agli erasmus e nell'organizzare il proprio tempo libero, divertimenti e viaggi».  Occorreranno lunghe ricerche per scovare negli archivi dei vari assessorati tutte le tracce di forme di sostegno, come contributi a fondo perduto e mutui agevolati a start-up di quel genere, in base alle leggi che prevedono il sostegno ai disoccupati o alle persone in cerca di prima occupazione. Per riuscire a intascare denaro pubblico, come minimo, occorre un po' di coerenza con la normativa. A meno che non si decida di aggirarla, spacciando il razzismo al contrario come un nobile scopo sociale. Altrimenti, se i criteri di selezione del personale finissero per obbligare a camuffarsi da gay per trovare un'occupazione, la riforma del mercato del lavoro si farebbe ancora più urgente. di Andrea Morigi  

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