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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Maria Acqua Simi
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È un asso nella manica che, credo, almeno una volta nella vita ogni politico sia stato tentato di calare durante la campagna elettorale. Giurare di voler tagliare le tasse, come sa chi si occupa di sondaggi, dà  un vantaggio di almeno un punto percentuale sugli avversari. Ovviamente, tradurre in pratica la promessa è poi altra cosa: serve una robusta dose di coraggio e basta rileggersi le cronache politiche d'epoca per rendersi conto di chi in seguito l'abbia avuto.  Tra i pochi certamente Berlusconi, prima nel 2004, con la riduzione dell'Irpef sui redditi più elevati, e poi nel 2008, con l'Ici. Ma anche Prodi, che diminuì l'imposta sulla casa, limitando però il vantaggio a una determinata soglia. Nei tre casi ci si fermò  a ritocchi e di fatto da molti decenni nessun politico si cimenta in una riforma fiscale che riguardi tutti i contribuenti, perché mettere mano alle imposte costa e nessuno sa in realtà come finanziare l'intervento. O meglio: in ossequio alla rivoluzione di Ronald Reagan tutti dicono che riducendo i tributi sulle persone fisiche si aumentano i soldi a disposizione delle famiglie, con conseguente aumento dei consumi e dunque anche del gettito Iva, ma da noi non c'è ministro o primo ministro che abbia voglia di provare se le cose possano andare davvero come anni fa negli Stati Uniti. Al Cavaliere serviranno dunque nervi saldi e tanta determinazione se ha intenzione di realizzare quanto  annunciato. Come spiegato da Libero nei giorni scorsi, introdurre due sole aliquote, al 23 e al 33%, significa lasciare nelle tasche degli italiani molti più soldi di quanti  ce ne siano ora. Ma vuol dire anche che servono poco meno di 20 miliardi di euro, non certo una bazzecola. Se il circolo virtuoso che le minori imposte dovrebbero innescare non si verificasse, se cioè la teoria reaganiana in Italia facesse cilecca, per Giulio Tremonti sarebbero guai seri, perché nel bilancio dello Stato si aprirebbe una voragine difficilmente arginabile che potrebbe compromettere la stabilità finanziaria dell'Italia e il rapporto con gli altri Paesi europei. È altrettanto vero però che sulla riforma fiscale il centrodestra si gioca la sua stessa ragion d'essere. Come altre volte abbiamo spiegato, la promessa di ridurre le imposte è la base del programma politico di Berlusconi. Anzi: un Fisco non rapace è il pilastro di un impianto che prevede uno Stato moderno, efficiente e al servizio dei cittadini. Se il Cavaliere intende rispettare il patto stipulato con gli elettori 15 anni fa e reiterato nel corso delle successive  campagne, non ha alternative e si capisce dunque perché abbia dichiarato di voler dare via al progetto già nel 2010. Il premier è giunto al suo terzo mandato e, pur augurandogli una lunga carriera politica, è evidente che oggi egli deve dare concretezza al suo operato. Volgendo lo sguardo al passato si possono scorgere avvii di riforme importanti, nel campo delle opere pubbliche, della giustizia e della pubblica istruzione. Ma certamente manca la principale: quella delle tasse. Immaginiamo che il presidente del Consiglio e il suo primo collaboratore, il ministro dell'Economia, in questi giorni stiano facendo di conto, ripassando con attenzione le proiezioni sugli effetti che i tagli fiscali potrebbero produrre sull'economia reale. E nonostante noi li si abbia richiamati spesso all'impegno, sappiamo che la loro non è una decisione facile. Ci permettiamo dunque un suggerimento: affinché la scelta non appaia un rischio, il governo decida oltre alla riduzione delle tasse l'immediata abolizione delle Province, dei consorzi di bonifica e di molti altri enti che costano e non producono. Il risparmio di queste fonti di spesa, insieme con l'innalzamento dell'età pensionabile,  anche se non coprirà nella sua interezza il costo dello sconto fiscale, consentirà di non far apparire il taglio come l'azzardo di una banda di avventurieri, ma mostrerà l'operazione per quel che è:  una grande manovra di rilancio dell'economia nazionale e soprattutto un piano di modernizzazione di questo Paese. Un'osservazione finale naturalmente è necessaria: per centrare questo obiettivo e realizzare una riforma che sarebbe epocale serve un politico di razza e un tecnico che non sia da meno. A Berlusconi e Tremonti l'onere di dimostrarci se lo sono.

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