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L'editoriale

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di Giampaolo Pansa

Monica Rizzello
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Nella Prima repubblica, ai tempi della vecchia Democrazia cristiana, sul conto di Giulio Andreotti girava una battuta maligna: «Giulio conta sempre sull'infarto. Ma su quello degli altri». Era stata coniata dagli stessi dicì, durante il settennato di Sandro Pertini al Quirinale. Molti sostenevano che Andreotti aspirava a succedergli. E dunque sperava in un coccolone del vecchio Sandro, che al momento dell'elezione aveva 82 anni. Ma Pertini era una roccia e rimase capo dello Stato sino alla fine del mandato. Mentre Giulio, un altro longevo, 91 anni compiuti pochi giorni fa, non è mai riuscito ad arrivare al Quirinale. Mi sono ricordato di quella battutaccia nel vedere come stia aumentando nel centro-sinistra l'avversione per Silvio Berlusconi. Qualcuno dirà che non è una novità. Eppure esiste una regola ferrea che riguarda tutti i partiti o i blocchi politici. Più grande è il caos in una parrocchia, più si desidera che quella avversaria si trovi nelle stesse burrasche. Oggi il Partito democratico è un vascello impazzito e al limite della ribellione contro il comandante della nave. Per questo si moltiplicano le speranze che il Cavaliere sia mandato al tappeto da qualche evento fatale. Un infartone. L'assalto di un secondo Tartaglia più deciso del primo. E non voglio rammentare gli inviti a uccidere il Berlusca che seguitano ad apparire su Internet. Ma il Cavaliere finora è stato assistito dalla fortuna. Per di più, deve avere dei geni speciali che lo difendono dalla vecchiaia. Ho un anno più di lui e mi stupisco sempre nel vedere quanta energia fisica e intellettuale possieda un signore che a settembre compirà 74 anni. Ecco una dote che in questi mesi gli sarà indispensabile. Per vincere le elezioni regionali. E soprattutto per affrontare la crisi profonda che sta emergendo nel Popolo della libertà. Se il Pd di Pierluigi Bersani sembra sul punto di tirare le cuoia, il PdL non sta bene per niente. Fondato nel marzo 2009, ha iniziato subito a sgretolarsi. Non è ancora trascorso un anno e si trova già in pieno marasma. Tanto da far pensare che il carisma del Cavaliere non sia più quello di un tempo. Oppure che non basti a tenere insieme il partito. A questo punto, può essere interessante un confronto con un soggetto politico ormai scomparso. Al quale Berlusconi ha sempre guardato come a un modello da imitare: la Dc. Ma la Balena bianca era tutt'altra cosa. Per cominciare, se si esclude la fase iniziale della segreteria di Alcide De Gasperi, non è mai stata un partito legato a un unico leader. Ha cambiato di continuo segretario, senza mai subire contraccolpi negativi. Neppure la leadership di Ciriaco De Mita, durata ben sette anni, ha trasformato la Dc nel dominio di un uomo solo. Anche il continuo avvicendarsi dei premier democristiani non ha attenuato la forza della Balena Bianca e tanto meno il suo pluralismo. Dei 50 governi che si sono succeduti dal giugno 1945 all'aprile 1992, ossia all'inizio di Tangentopoli, ben 45 hanno avuto presidenti dicì. De Gasperi è stato premier per otto volte, Andreotti per sette, Amintore Fanfani per sei, Aldo Moro e Mariano Rumor per cinque. Nessuno di loro è diventato il monarca della Balena Bianca. Ci aveva sperato Fanfani, che gli stessi dicì chiamavano il Tiranno. Poi arrivarono la sconfitta sul divorzio nel 1974 e il trionfo delle giunte rosse nel 1975. E il ciclo del Mezzotoscano finì.  Non voglio apparire ingeneroso nei confronti del Cavaliere e chiedermi se possa essere paragonato ai vecchi leader bianchi. Sono molto diverse le epoche storiche. E pure le condizioni del terreno politico. La Dc aveva centinaia di migliaia di iscritti. In parte veri e in parte fasulli, grazie alle tessere intestate a defunti, a nomi inesistenti, a parenti di questo o di quel boss. Invece il PdL, come ha rivelato “Il Riformista”, oggi può contare soltanto su 18 mila iscritti. Un'inezia rispetto al milione che Berlusconi spera di avere. L'ufficio stampa del PdL ha replicato che i tesserati sono 47 mila. Però se non è zuppa è pan bagnato. Anche la sua struttura sul territorio è inesistente. Mi è capitato di cercare le sezioni del PdL in più di una città, però non le ho mai trovate. Certo, la parrocchia di Silvio ha moltissimi fedeli, i suoi elettori. Ma è priva di un'organizzazione. Il giorno che riuscirà ad averla, il suo costruttore diventerà, se lo vuole, il vero leader del partito. Oggi tutto dipende ancora dall'autorità personale di Berlusconi. Il suo carisma resiste, nonostante le tante disavventure del 2009? Ecco un enigma da risolvere. Tuttavia, anche dentro il PdL si stanno domandando per quanto tempo durerà. È una condizione che allarma i dirigenti più avveduti del PdL. Mi ha colpito l'intervento di Gaetano Quagliariello, vice capogruppo dei senatori pidiellini, pubblicato da “Il Giornale” di martedì 2 febbraio. La sua opinione è che il partito debba stringersi come un sol uomo attorno a Berlusconi e alla sua «forza carismatica, nazionale e popolare». In caso contrario, il partito imploderà: «Ognuno sarà destinato a prendere il largo con la propria corrente, il proprio segmento più o meno angusto, a bordo della propria piccola scialuppa». In questo ultimo caso, sostiene Quagliariello, un intellettuale che conosce bene la storia dei partiti europei, sarà inevitabile una conseguenza molto negativa: «A perderci sarà non solo il PdL, ma il Paese. Perché la diaspora dei liberali e dei moderati renderebbe inevitabile un processo di frammentazione che nessuna democrazia moderna ed efficiente può sopportare». È un rischio reale. A dieci mesi dalla fondazione del PdL, la casa voluta da Berlusconi mostra molte crepe. Ha già subito una scissione pesante in Sicilia. È emersa la leadership antagonista di Gianfranco Fini. I “vecchi” di Forza Italia osservano allarmati l'ascesa di quello che, ricordando la Dc, chiamano “il correntone doroteo”. Formato da La Russa, Gasparri e Verdini, insieme a un gruppo di ex-forzisti. Sul territorio dominano i clan personali, più o meno simili ai cacicchi del Pd. Infine è ancora in corso la battaglia per le candidature regionali. Qui, secondo Mario Valducci, uno dei fondatori di Forza Italia, «c'è poca agibilità per i berlusconiani». Mentre trionfano «i signori delle preferenze e della vecchia politica» (Giorgio Stracquadanio dixit). Sarebbe utile che la stampa indipendente dedicasse un po' di attenzione a quanto accade nel primo partito del Paese. E non soltanto alle disavventure personali del suo leader. Anche perché di fronte, più che a fianco del PdL, c'è un altro gruppo di centro-destra che non presenta nessuno dei difetti del partito di Silvio: la Lega di Umberto Bossi. Un capo indiscusso, un uomo solo al comando, con un'influenza politica ogni giorno più forte.

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