L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Ciò che avevamo prefigurato nell'edizione di ieri si sta puntualmente avverando. Complice la dabbenaggine di alcuni funzionari del Popolo della Libertà, gli abitanti della Lombardia e del Lazio stanno per essere scippati del diritto di voto. La conseguenza è che due regioni chiave del paese saranno consegnate alla sinistra, la quale non avendo fino a ieri nessuna possibilità di vittoria si prepara a risorgere dal sepolcro in cui era stata tumulata dagli stessi elettori con l'ultimo ricorso alle urne. Il merito di tutto ciò, oltre che di un certo numero di fessi di centrodestra, è dei radicali, cui hanno dato un aiuto determinante i giudici, i quali non essendo proprio dei tifosi del PdL hanno colto la palla al balzo, eliminando con un tratto di penna la lista del Popolo della Libertà in tutta la provincia di Roma e il listino di Formigoni in Lombardia. I vizi formali sono stati giudicati insuperabili dai magistrati e quindi i ricorsi del centrodestra respinti. Fa nulla se in altre occasioni le toghe si sono regolate diversamente, rimettendo in lista gli esclusi e sentenziando che la mancanza dei timbri comunali o l'illeggibilità delle firme non sono determinanti: per l'occasione la corte ha prestato attenzione anche alle virgole. Esiste ancora la possibilità che altri gradi di giudizio ribaltino la decisione, facendo tornare in gioco Formigoni e il PdL, ma anche se la speranza è l'ultima a morire, noi fossimo al governo non ci fideremmo ad aspettare i prossimi pronunciamenti. Come abbiamo spiegato ieri, è in corso un'operazione di sabotaggio che mira a stravolgere il risultato elettorale. Gruppi di guastatori sono all'opera e non è escluso che nelle prossime ore le liste di centrodestra di altre regioni siano messe fuori dalla competizione. Comprendiamo che le misure di emergenza su una materia così delicata non siano facili: c'è di mezzo la legge elettorale e qualsiasi intervento potrebbe far strillare l'opposizione, la quale facilmente parlerebbe di manovre antidemocratiche che influiscono sul voto. Ma qui resta poco da fare: o si ricorre a un decreto per rimettere in gioco chi è stato eliminato o ci si rassegna a regalare Lombardia, Lazio e forse anche qualche altra regione ai seguaci di Bersani e Di Pietro. Con ciò che ne consegue, ovviamente. Gianpaolo Pansa, che da cronista ne ha viste di tutti i colori e soprattutto di tutti i dolori, prefigura scontri e disordini di piazza. E certo Pansa non è un esagitato agit-prop berlusconiano in vena di minacce. Se si vuole evitare dunque il caos, nelle istituzioni come nelle strade, sarà dunque meglio affrettarsi a individuare una via d'uscita che riporti la situazione alla normalità. Sono certo che anche il Capo dello stato comprenderà l'eccezionalità della situazione e per una volta si turerà il naso, firmando in nome dell'interesse collettivoil decreto di riammissione delle liste. Anche se per i giudici di Milano che hanno cancellato Formigoni la decisione non comporta «un pregiudizio giuridicamente rilevante all'interesse pubblico», è evidente che impedendo a milioni di italiani di scegliere liberamente per chi votare si commette un grave danno. Dunque governo, parlamento e anche Quirinale hanno l'obbligo di intervenire. Diversamente certificherebbero che la nostra è una Repubblica delle banane. Anzi: la Repubblica dei furbi e dei fessi. E giudicate voi chi sono gli uni e gli altri.