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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

francesca Belotti
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Di Giorgio Napolitano non siamo mai stati grandi estimatori: troppo tentenna per i nostri gusti. Per noi il Capo dello Stato deve fare gli interessi dell'Italia, infischiandosene della polemica politica del momento, per cui se c'è da approvare un provvedimento che non piace a qualcuno, ma serve al Paese, desidereremmo che il Presidente della Repubblica lo varasse senza farsi condizionare da nessuna forza politica, neppure quella di appartenenza. Nel caso del Lodo Alfano, per esempio, non è stato così e si è persa l'occasione di chiudere la caccia al Presidente del Consiglio da parte di varie Procure: una responsabilità che pesa soprattutto sul Quirinale, che ha mancato di far sentire la sua voce. Detto questo, bisogna riconoscere che Napolitano l'altra sera ha avuto coraggio a firmare il decreto che rimetteva in gioco le liste del Pdl in Lombardia e nel Lazio. Intendiamoci: il provvedimento era ampiamente giustificato, perché solo un pazzo o qualche opportunista potevano sostenere la liceità di elezioni in cui il partito di maggioranza fosse escluso dalla competizione.Ma visto che la sinistra caldeggiava un provvedimento di rigore contro il popolo della libertà, così da garantirsi una vittoria sicura senza rischi, la scelta del Presidente della Repubblica è ancora  più significativa. Non sappiamo se Giorgio Napolitano sia stato “costretto” a firmare dall'irruenza del capo del Governo, né sia stato spinto a farlo dalle sollecitazioni che provenivano dalla base, ovvero dagli elettori che erano determinati a difendersi da qualsiasi tentativo di scippo del diritto di voto.  Ciononostante bisogna ammettere che il Capo dello Stato ha dato dimostrazione d'indipendenza dal suo stesso partito, il Pd. Come ha scritto ieri il nostro Mattias Mainiero, Napolitano è un uomo prudente, che nella sua lunga carriera politica non ha mai fatto nulla di azzardato e ciò gli ha permesso di sopravvivere in un partito, il PC, che i dissidenti li liquidava con una purga. Pur essendo di destra, o meglio un comunista di destra, quasi socialdemocratico, il Presidente della Repubblica ha visto passare indenne Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto, D'Alema e perfino Veltroni.La  straordinaria capacità di mimetismo gli ha perfino consentito di non essere travolto da Di Pietro, nella stagione in cui il PM di mani pulite pareva Dio in terra o quanto meno un suo emissario.Ovviamente Napolitano è riuscito a navigare fra i marosi delle diverse tempeste politiche soprattutto defilandosi o nascondendosi. Questa volta no. Sulla questione delle liste non si è tirato indietro, come tutti pronosticavano, ma alla fine ha dimostrato di stare dalla parte dell'interesse pubblico e non da quella del Pd. Il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto che rimette in lista gli esclusi di Lazio e Lombardia anche se il suo partito aveva un interesse contrario. Incurante delle pressioni e dei calcoli dei compagni suoi, ha tirato diritto, restituendo agli elettori il diritto di voto. Per la prima volta, da quando è stato eletto, ha dato prova di aver tagliato il cordone ombelicale che lo legava alla sinistra e di questo gliene siamo grati, dandogli atto di aver dimostrato dosi di indipendenza che non sospettavamo. La decisione del Capo dello Stato avrà un effetto non secondario sul suo partito, il Pd e su quello che da ormai un anno ai democratici detta la linea ovvero l'Idv. Entrambi speravano di vincere facilmente, grazie all'esclusione del centrodestra. Adesso, dopo il reinserimento di Formigoni e della Polverini, Bersani e Di Pietro dovranno invece guadagnarsi davvero i voti e ciò, per politici abituati a farsi coccolare da giornali amici ma non a cercarsi gli elettori, è davvero una prospettiva inquietante. Già pregustavano la vittoria a tavolino, grazie a cavilli e giudici amici, ora devono confrontarsi con le urne: un vero dramma.

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