L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Da mesi l'opposizione si affanna a predicare che Berlusconi è giunto al capolinea. Sostenuta dai suoi giornali, che non sono pochi, e dai telepredicatori, anche questi numerosi, pare essersi convinta che la fine del Cavaliere coinciderà con l'inizio del suo turno di governo e perciò ha fretta di arrivare al dunque. Dopo la manifestazione di ieri pomeriggio le speranze della sinistra dovranno però inevitabilmente essere riposte nel cassetto. Il milione di persone che ha raccolto l'invito del presidente del Consiglio e ha percorso le vie di Roma è la dimostrazione concreta che il berlusconismo non volge affatto al termine ma è vivo e lotta insieme a noi. E che il premier ha un consenso radicato nel Paese come nessun altro leader in Italia ha o ha avuto nel passato. Organizzare in poche settimane una iniziativa imponente come quella di ieri non è affare da poco, soprattutto se a parteciparvi non sono i professionisti della protesta che abitualmente sfilano per le vie di ogni città, ma una maggioranza silenziosa non abituata a cortei e striscioni. Non a caso, noi per primi avevamo avvertito del rischio che il popolo di centrodestra rimanesse a casa, preferendo le pantofole alla piazza. Ma al contrario delle previsioni più pessimistiche, e anche smentendo una certa aria di sfiducia che aleggiava da settimane, i moderati sono invece confluiti da tutta Italia, determinati a sostenere i candidati alle Regionali e soprattutto il loro leader. Il milione di persone riunito a piazza San Giovanni era certamente spinto dalla voglia di non darla vinta alla sinistra nel Lazio e nelle altre amministrazioni che vanno al voto, ma ancor più era intenzionato a schierarsi al fianco del Cavaliere. A chi ha seguito la manifestazione non può essere sfuggita l'identificazione che gran parte dei manifestanti ha con Berlusconi. Egli per loro rappresenta tutto, la forma e la sostanza, l'ideologia della libertà ma anche il programma e la sua attuazione. Intervistati dai cronisti televisivi, molti non hanno dichiarato la loro adesione a favore dei candidati governatori, bensì a sostegno dello stesso Berlusconi, con il quale hanno un processo di immedesimazione che li porta a condividere ogni sua battaglia. Altro, dunque, che fine del berlusconismo, macché inizio del declino. Il Cavaliere conserva intatto il suo patrimonio di consensi e gli attacchi della sinistra e dei giudici hanno contribuito paradossalmente a rafforzarlo, cementandone la popolarità fra i moderati. Nessuno sarebbe sopravvissuto politicamente al fuoco di fila cui è stato sottoposto il premier. Prima le incursioni nella sua vita privata, poi le inchieste sui pettegolezzi, quindi le indagini giudiziarie e infine le intercettazioni. Da due anni a questa parte, ossia da quando è tornato al governo, niente gli è stato risparmiato. Chiunque probabilmente avrebbe gettato la spugna, soprattutto considerando che a metà legislatura la luna di miele con gli elettori è conclusa da un pezzo. Berlusconi invece resiste e neppure il più insidioso sgambetto è in grado di farlo cadere. La tenacia con cui ha tenuto testa a ogni avversità, compreso il fuoco amico partito dall'interno della sua stessa maggioranza, è formidabile. Eppure senza il popolo che è sfilato ieri neppure Silvio sarebbe riuscito a farcela: da esso il Cavaliere trae la forza per battere la sinistra e per ripartire ogni volta nonostante quelli che provano a fermarlo. Così è stato nel 1994 e nel 1996, così è accaduto nel 2001 e nel 2006. Così sarà anche con questa primavera. La maggioranza silenziosa, quella che tv e giornali ignorano, anzi disprezzano, sta ancora una volta con Berlusconi. È questo che ci fa ritenere che la sua stagione sia ancora lunga. Ma anche che domenica prossima, contro ogni previsione, vincerà ancora.