Cerca
Cerca
+

L'editoriale

Esplora:
default_image

di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
  • a
  • a
  • a

L'Italia ha un primato in cui eccelle rispetto a tutti gli altri Paesi. Come nessuno sa far incancrenire le cose: se c'è da prendere una decisione trova tutte le scuse per non farlo, rimandando a domani ciò che potrebbe fare oggi.  È così che ha costruito uno dei più imponenti debiti pubblici del mondo e creato la più inefficiente pubblica amministrazione che si conosca e, ancora, la peggiore e più lenta giustizia dell'Occidente. Volendo potrei continuare a lungo, elencando le cose non fatte, ma credo di aver reso l'idea. Ciò detto bisogna riconoscere che quando abbiamo l'acqua alla gola siamo meglio di Speedy Gonzales per capacità di tirarci fuori dallo stagno, tant'è che si potrebbe fare un'enciclopedia con la legislazione d'emergenza prodotta nel corso degli anni per  tappare una falla a lungo ignorata fino a diventare una voragine. Ho fatto questa lunga premessa per dire che forse è ora di fare lo scatto da primatista mondiale in cui siamo specialisti e varare provvedimenti urgenti al fine di rimettere in sesto i conti dello Stato. Ieri il sottosegretario Gianni Letta ha annunciato sacrifici duri. Per quel che mi riguarda non aspetto altro e non perché io sia affetto da masochismo, più semplicemente perché ritengo che sia ora di darci un taglio. Se davvero la manovra che si sta preparando si rivelerà un colpo secco agli sprechi  e non il solito taglia e fingi cui siamo abituati, per il Paese non potrà che essere salutare. Qualche giorno fa ripercorrevo la storia delle manovre finanziarie, un provvedimento da prima Repubblica che è sempre servito a fare l'ammuina più che a riordinare il bilancio statale. Un po' di tasse su carburanti e francobolli, qualche improbabile riduzione della spesa e il gioco era fatto. Ora, da quel che capisco, di scherzi non è aria e neppure di trucchi da prestigiatore. Se non si fa sul serio si rischia di finire come la Grecia o di vedersi  non più sottoscritti i titoli del debito pubblico, che equivarrebbe  più o meno a dichiarare bancarotta. Il mio auspicio è dunque che si usi la scure per davvero, a cominciare dalla spesa sanitaria. Riportavo la volta scorsa i dati forniti da Luca Ricolfi, secondo il quale sarebbe possibile risparmiare 6,5 miliardi, una cifra enorme che credo non sarebbe difficile recuperare. Per rendersene conto bastava guardare il Sole 24 ore di ieri, il quale riportava la classifica delle Regioni con i costi pro capite della salute: in cima alle più spendaccione c'erano Lazio, Calabria e Molise, che in media riescono a pagare il doppio del Veneto, pur non avendo standard di assistenza  di un ospedale veronese. Volendo si potrebbe applicare la stessa cura alle pensioni, soprattutto quelle di invalidità. E poi non farebbe danni mettere a dieta l'amministrazione pubblica, non tanto con la riduzione degli stipendi agli statali, i quali non godono certo di pingui salari, ma ridimensionando la burocrazia, gli enti inutili e le funzioni doppie o triple che lo Stato ha creato nel tempo al solo scopo di giustificare l'esistenza  e la remunerazione di qualche alto papavero. Togliete le province, spazzate via la metà delle authority, restringete all'essenziale le pratiche cui sono costretti gli italiani. Una manovra simile non solo non inciderà sulle tasche dei contribuenti, se non in misura favorevole perché farà costare meno la macchina pubblica, ma addirittura restituirà competitività alle aziende e voglia di fare ai cittadini. Quando sono giustificati dal buon senso, i tagli non fanno paura. È per questo che credo che molti tifino Forza Taglia.

Dai blog