L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Non c'è nulla di più triste dei padri della patria usati nella lotta politica. Se stuzzicati a dovere, in genere spargono tutto il loro risentimento di ex contro chi è subentrato nell'incarico: o perché si sentono trascurati oppure perché ritengono che se fossero rimasti al proprio posto avrebbero saputo far meglio di chi è venuto dopo. Un miserabile spettacolo di astio e presunzione cui non si sottrae l'ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, il quale ieri sulla Repubblica ha concesso un'intervista nella quale, evocando il periodo del 1993, quando era presidente del Consiglio, dà a intendere che le stragi di mafia dell'epoca furono contro il suo governo e spianarono la strada all'arrivo di Berlusconi. Nulla di nuovo s'intende: le frasi sono più o meno le stesse di Gaspare Spatuzza, il pentito che mise le bombe e sciolse nell'acido un bambino, e questo già non è un bell'accostamento. Neppure il rancore dell'ex capo dello Stato è una novità: lo si era intuito mesi fa, quando si scagliò contro Napolitano, che a suo dire firmava troppo facilmente i decreti del governo, mentre lui al Quirinale avrebbe fatto resistenza. Per quel che mi riguarda, nessuno stupore: di Ciampi non ho mai avuto una gran stima. L'ho infatti sempre ritenuto una figura ingiustamente sopravvalutata, che ha potuto godere di gran lustro solo per l'appartenenza al circolo degli ex azionisti e il sostegno dei sindacati della Banca d'Italia. Come governatore dell'istituto centrale, incarico che ha ricoperto dal 1979 fino al 1993, credo di poter dire che sia stato il peggior reggente di via Nazionale. Sotto la sua gestione sono infatti maturati ed esplosi i peggiori scandali bancari della storia della Repubblica. Non solo quello del Banco Ambrosiano, istituto che poco prima del crac era stato autorizzato a quotarsi in Borsa senza che la vigilanza di Bankitalia si fosse accorta di nulla, ma anche altri. Dal crac del Banco di Napoli al disastro della Carical, ovvero la Cassa di risparmio della Calabria che fu salvata dalla Cariplo. L'allora governatore, che dal 1973 era ai vertici dell'istituto prima come segretario generale e poi come direttore centrale, arrivò quasi sempre dopo, quando lo scandalo era ormai pubblico e gli ispettori della vigilanza da lui controllati potevano al massimo constatare i danni. Ciampi non si avvide neppure che la Bnl di Atlanta, succursale americana di una delle più importanti banche nazionali, stava allegramente finanziando il riarmo di Saddam Hussein, e dovettero scoprirlo gli americani, benché il figlio del governatore fosse il capo della divisione Usa dell'istituto coinvolto. Nonostante ciò, l'ex governatore una volta lasciato il mandato è stato premiato e venerato. Scalfaro lo volle alla guida del primo governo di Mani pulite, dimenticando che Ciampi costò alle casse dello Stato molto di più di tutte le tangenti incassate dai politici corrotti. Nel 1992 la sua sciagurata difesa della lira non solo si rivelò inutile perché alla fine la nostra moneta fu svalutata del 30 per cento, ma soprattutto fu pagata con un prosciugamento delle riserve auree del nostro Paese che lo lasciò tramortito per lungo tempo. Il brillante risultato dell'epoca, e un ulteriore scivolo valutario che fece sprofondare in una sola giornata le quotazioni della lira a causa di un rimborso sbagliato, gli valsero ovviamente la nomina a primo ministro, poi quella di responsabile del Tesoro incaricato di trattare l'ingresso nell'euro. Come è andata a finire è risaputo: siamo entrati in punta di piedi, tartassati dall'una tantum di Prodi e da un cambio da morti di fame. Quanto anche questo pesi sulla situazione economica attuale non lo so. Per capirlo servirebbero economisti che non fossero in soggezione verso la Banca d'Italia e i suoi fantasmi, ma purtroppo molti sono cresciuti all'ombra di via Nazionale o hanno ambizione di entrarvi, quindi è difficile trovarne. Naturalmente quanto ho scritto non lo troverete nel libro di memorie che l'ex capo dello Stato ha scritto per il Mulino e che ieri ha anticipato. Per vendere qualche copia non bisogna riconoscere i propri errori. Meglio, molto meglio, inventarsi qualche mostro da combattere. Così, invece che riconoscere la sconfitta, ci si può atteggiare ad eroi.