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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Non so se Gianfranco Fini ha fatto il militare, se sì, dev'essere stato nel genio guastatori. Non si spiega diversamente l'abilità del presidente della Camera nel mettere i bastoni fra le ruote al governo. Con una meticolosa pazienza l'ex leader di An usa tutti gli espedienti per fiaccare Berlusconi e bisogna riconoscere che l'operazione ha buone probabilità di riuscita. Nonostante l'apparente maggioranza di cui dispone in Parlamento, il premier è ogni volta costretto a subire il ricatto del cofondatore e spesso in queste settimane ha dovuto rassegnarsi, rinunciando ai suoi propositi. Lo si è visto sulle intercettazioni, una legge che a forza di ritocchini rischia di diventare irriconoscibile e, quel che è peggio, inutile. Ma se, come molti pensano, questo  è solo  l'antipasto di un pranzo che deve ancora  essere servito, al rientro dalle vacanze c'è da aspettarsi di peggio.  L'operazione di sabotaggio potrebbe insomma dispiegare i suoi effetti più devastanti a settembre, quando il governo rilancerà il tema delle riforme, in particolare quella della giustizia. Il numero uno della Camera non solo sarebbe pronto a mettersi di traverso, con la stessa spregiudicatezza usata fino ad oggi, ma avrebbe in serbo pure una sorpresina. Il cofondatore, per il quale ormai l'unico obiettivo è l'eliminazione di Berlusconi, si preparerebbe a lanciare la sfida per cambiare la legge elettorale. Con quella attuale il suo destino politico una volta conclusa la legislatura è segnato: con il Cavaliere in sella, uno sbarramento dell'otto per cento al Senato  e del quattro alla Camera, Fini non ha alcuna possibilità di sopravvivenza politica. Al massimo può puntare a dar vita a un micro partitino del quattro e forse meno per cento, troppo poco per nutrire ambizioni da presidente del Consiglio o da ministro di prima fascia. Cambiando la legge elettorale, cambia però anche la musica. Senza sbarramenti, o con sbarramenti minimi, anche i micro partiti avrebbero un futuro  mentre ne avrebbe uno meno brillante il partitone di maggioranza, al quale non basterebbe il 35 per cento per vincere le elezioni, soprattutto se dall'altra parte si facesse una sorta di federazione di nanetti della politica. Una legge elettorale diversa da quella attuale sarebbe in pratica un grimaldello con cui scassinare la cassaforte berlusconiana del consenso. Ovviamente il disegno prevede il ritorno alle coalizioni, dei penta o degli esapartiti, come ai tempi della prima Repubblica, ma questo a Fini importa poco. Ciò che conta per lui è levar di mezzo il premier, obiettivo che condivide con il Pd, l'Italia dei valori, l'Udc di Pier Ferdinando Casini e perfino qualche frangia del PdL. Mettendo tutti insieme, i numeri in Parlamento ci sarebbero e la legge potrebbe essere approvata in tempi rapidi, così da esser pronta alla fine della legislatura. Ce la farà il presidente della Camera a fare lo sgambetto al Cavaliere e a farlo cadere nella trappola prima che quest'ultimo faccia cadere lui? Non lo so. So soltanto che noi, italiani, siamo nel bel mezzo di uno scontro di cui ci importa niente, se non delle conseguenze che questo può produrre su governo ed economia. E quelle, comunque vada, le pagheremo noi.

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