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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Non passa giorno senza che qualcuno rievochi, con nostalgia o terrore, la stagione politico-giudiziaria del 1992, segnalando le coincidenze con l'attuale situazione. Le analogie col terremoto di Mani pulite che spazzò via la prima Repubblica in effetti sono molte. A cominciare dal numero di esponenti di governo nel mirino dei magistrati per finire poi alla stretta alleanza tra la maggior parte dei media e i pm, la quale ogni giorno consente di riproporre sulle prime pagine dei giornali il tema della questione morale. In realtà ciò che si sta verificando è molto più sofisticato di quel che accadde quasi vent'anni fa. All'epoca sotto tiro vi erano i principali partiti di governo e l'obiettivo di chi spalleggiava i giudici era piuttosto evidente. Si trattava di far fuori una classe politica, sostituendola con un'altra, realizzando nei fatti quell'alternativa che il Pci non era mai riuscito a cogliere. Come andarono le cose è noto. Quando tutto sembrava fatto, mezzo pentapartito era sotto inchiesta o sottoterra - che è quasi la stessa cosa - e mentre Achille Occhetto già si sentiva presidente del consiglio, sbucò un outsider che sbaragliò la prodigiosa macchina da guerra comunista. Per oltre 15 anni le Procure si sono poi sforzate di disarcionare il Cavaliere, riportando indietro gli orologi a quel lontano 1992, ma senza successo. Ora però la strategia pare cambiata. Rispetto a quella primavera, oggi non si colpiscono esclusivamente i politici. Quelli, beninteso, sono sempre nel mirino dei pm. Ma insieme a loro ci sono anche importanti uomini delle istituzioni, in particolare quelli che stanno ai vertici degli apparati di sicurezza. Se si passa in rassegna con la memoria quanti alti funzionari di polizia, carabinieri e servizi segreti sono sotto inchiesta o condannati, si capisce che cosa sta accadendo. Per aver svolto con impegno il loro mestiere sono stati trascinati sul banco degli imputati il capo del Sisde Nicolò Pollari, quello dei Ros Mario Mori e il suo successore Giampaolo Ganzer, quello dell'Asi, ossia dell'organismo di coordinamento degli 007, Gianni De Gennaro, per restare ai più noti. In pratica, dalla Finanza ai servizi segreti, passando per la polizia e per i carabinieri, non c'è forza che non sia stata toccata. Se il governo è sotto scopa, i vertici delle forze dell'ordine non sono dunque messi meglio. Si aggiunga a questo che anche i principali imprenditori e banchieri non godono di grande tranquillità, avendo molti conti aperti con la giustizia, e si capirà tutto. In un simile quadro di presunto malaffare si staglia incontaminato o quasi un solo potere: quello della magistratura. La quale diventa il perno per qualsiasi operazione politica futura. È vero che nell'operazione pulizia anche qualche toga rischia di rimanere impigliata, ma questo è un effetto collaterale, utile per consolidare ancor di più il potere che una parte della magistratura intende esercitare per assumere un ruolo guida dei giudici e non solo. Tra i molti richiami alla stagione del 1992, manca infatti quello che riguarda il piano finale, ovvero la fase incompiuta, che Antonio Di Pietro delineò bene in un suo documento, ipotizzando di assumere il controllo dei servizi segreti e degli organismi fiscali. Era il periodo in cui l'allora capo della Procura Francesco Saverio Borrelli ammetteva che il suo ufficio si sentiva pronto, in caso di chiamata del presidente della Repubblica, ad assumere ruoli superiori, lasciando intendere incarichi di governo. Stiano attenti dunque quelli che sognano un ribaltone. Di questo passo il ribaltone lo faranno i pm, ma non è affatto detto che poi lascino spazio a loro, mezzemaniche della politica. È assai più probabile che, una volta messa da parte l'attuale maggioranza, vogliano fare da soli. In fondo, sono almeno vent'anni che ci provano.

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