L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Dal giorno in cui è esploso il caso Montecarlo, Gianfranco Fini ha parlato una sola volta. O meglio, ha risposto una sola volta, affidando alle agenzie una replica in otto punti che perfino un giornale partigiano come la Repubblica ha riconosciuto essere lacunosa e insufficiente. Poi più niente, al massimo brevi annunci di querele agli scoop che lo riguardano. Strano che uno il quale ha pianificato tutto, dalle mosse alle dichiarazioni, pur di riuscire a soffiare il posto a Silvio Berlusconi, alla prima difficoltà si rintani senza fiatare in una villa di Ansedonia a giocare con paletta e secchiello. Strano, anche perché se fosse davvero vittima di una campagna diffamatoria come egli dice avrebbe gioco facile a smontare il castello di accuse che gli è stato costruito intorno negli ultimi venti giorni. Come ho scritto, ci vorrebbe poco ad aprire l'appartamento di Montecarlo o quello di Roma, e mostrare che fine ha fatto la famosa cucina Scavolini comprata in un negozio della Capitale. In fondo, se non c'è nulla da nascondere, se davvero i mobiletti componibili non sono nel Principato ma sull'Aurelia, basta convocare una conferenza stampa oppure, se non si hanno in particolare simpatia i cronisti, si può ovviare con i fotografi. Smentire sarebbe facile anche riguardo ai viaggi a Montecarlo. La terza carica dello Stato viaggia sempre con un corteo di guardie che registra ogni suo movimento e se prende un aereo è sempre di Stato, il cui piano di volo rimane segnato nei registri dell'agenzia che svolge il servizio. Dunque, se non fossero veri gli avvistamenti monegaschi segnalati da più persone, in nome della trasparenza Fini potrebbe chiedere alla presidenza del consiglio, da cui dipendono scorte e aerei, di rendere note le sue trasferte estere, dichiarando se ci sono viaggi a Nizza o località limitrofe. Per ultimo, sempre che volesse levare il mistero attorno all'affare di Montecarlo, il presidente della Camera potrebbe dire a suo cognato di parlare e di rivelare chi c'è dietro la società che gli ha affittato l'appartamento. Perché è ovvio che Tulliani lo sa: è inimmaginabile che non sappia chi è la persona fisica la quale gli ha concesso in uso l'abitazione, così come è inimmaginabile che a quest'ora non lo sappia anche l'autorevole cognato, il quale se è effettivamente vittima di un raggiro familiare avrà pur preteso di conoscere come stanno le cose per tramite della consorte. E invece no. Nonostante sia di tutta evidenza che basterebbe parlare per levare di torno i dubbi o quanto meno attenuarli, Fini sta zitto. Perché tace? C'è una sola risposta ed è che se parlasse probabilmente finirebbe per infilzarsi da solo, perché le sue parole, non potendo levare il mistero, finirebbero per diventare capi d'accusa contro di lui, così come lo è diventata la misteriosa data sbagliata contenuta negli otto punti, una data che l'ex capo di An non poteva conoscere se non conoscendo anche l'acquirente finale dell'appartamento di Montecarlo. Visto che non gli conviene raccontare la verità sul Principato, la terza carica dello Stato ha dunque deciso di aspettare, di far passare la bufera, sperando che con il trascorrere delle settimane i giornali perdano interesse per il caso o, per lo meno, si esauriscano le notizie. Insomma, è il tempo su cui confida Gianfranco. Vuole approfittare dell'estate per ripresentarsi a Mirabello, la patria delle feste di fine estate della destra italiana, per risorgere dalle polemiche. E a dargli manforte in questo disegno ci si è messo pure Napolitano, il quale ormai si è trasformato nell'avvocato difensore di Fini, accentrando su di sé le ire del PdL pur di spostarle dal presidente della Camera. La strategia del silenzio si scontra però con la sensibilità degli elettori, i quali saranno pure di memoria corta come spera qualcuno, ma non sono dei pirla e, anche senza che il presidente della Camera abbia pronunciato una sola parola, hanno già capito tutto. Quel che hanno saputo del pasticcio di Montecarlo basta e avanza per sapere anche chi è Fini.