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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Molti lettori sono curiosi di sapere quel che dirà Gianfranco Fini domani a Mirabello e mi domandano: replicherà ai quesiti che gli avete posto durante tutto il mese di agosto? La risposta è no. Non credo che il presidente della Camera fornirà alcuna delucidazione in merito alla casa di Montecarlo né penso parlerà degli appalti Rai e di quelli della cricca, del patrimonio di famiglia e della candidatura dell'onorevole vicino alla ‘ndrangheta.  Sono convinto che liquiderà ogni cosa con un paio di battute, dicendo di essere vittima di un'aggressione per aver osato contraddire Berlusconi. Sosterrà la tesi del complotto, accusandoci di essere al servizio del premier. E pregherà Dio di riuscire a farla franca. A dire il vero penso abbia qualche possibilità di passarla liscia, chiudendola lì con una spiegazione che pare una barzelletta. Di sicuro non convincerà gran parte degli italiani, i quali continueranno a pensare quello che pensano oggi, ossia che c'è del marcio in Danimarca, anzi, a Montecarlo. Ma presentandosi come vittima del Cavaliere, Fini eviterà di finire nel mirino delle procure, le quali se uno si oppone a Berlusconi sono pronte non a chiudere un occhio, ma tutti e due.  Ve lo immaginate se le oscure operazioni che ruotano intorno al presidente della Camera le avesse fatte il premier, o qualcuno a lui vicino? A quest'ora come minimo avrebbero già aperto due o tre inchieste, per non dire di più. Del resto è quel che è successo negli anni passati e ancora capita. Prendete il caso Verdini.  A Firenze lo hanno indagato perché parlava al telefono con dei funzionari e sollecitava incontri a favore di un suo amico costruttore. Il coordinatore del PdL è doppiamente sfigato perché oltre a farsi beccare al telefono non è neppure riuscito a portare a casa un euro per l'impresa che gli stava a cuore. La giustizia, inflessibile, ovviamente non è stata a badare al fatto che l'intervento di Denis sia stato inutile, perché l'amico è rimasto con il becco asciutto, senza neppure l'ombra di un appalto. Basta il pensiero e dunque per questo i pm lo hanno iscritto sul registro delle persone sottoposte a indagini.  Ovvio, no? Invece Fini, la cui segretaria personale si dava da fare al fine di  sbloccare i pagamenti utili per la costruzione di una piscina sbilenca all'imprenditore che rideva del terremoto, è intoccabile. Lui o la sua segretaria non solo non finiscono nel registro degli sprovveduti, ma nemmeno in una pagina di Repubblica o del Fatto, i quali si guardano bene dal riferire che ci sono intercettazioni telefoniche con tanto di nomi e cognomi, in cui si parla di liste d'appalto portate a Montecitorio, proprio nell'ufficio di fianco a quello della terza carica dello Stato. Eppure lì i soldi escono dalle casse pubbliche per entrare in quelle private di un signore che si divertiva come un matto alla notizia dei morti sotto le macerie. Un milione e mezzo di euro, non spiccioli, dei quali nessun pm quasi certamente chiederà mai conto. Impegnati come sono a dare la caccia a Berlusconi, figuratevi se hanno tempo da perdere con queste bagatelle. E ovviamente, come era da immaginarsi, dalla procura di Perugia, che di sicuro non avrà avuto tempo di ascoltare le conversazioni tra l'allegro imprenditore e la segretaria di Fini, giunge notizia di un'altra bella inchiesta che tiene nel mirino il premier. Si tratta sempre di lavori pubblici: nell'archivio di Stefano Gazzani, il commercialista del noto costruttore Diego Anemone, avrebbero trovato anche il nome di Berlusconi, il quale, è presumibile, presto dovrà spiegare perché stava lì. Lui dovrà giustificarsi, Fini invece potrà continuare a tacere. Per lo meno fino a  quando non dovranno esprimersi  quei giudici supremi chiamati elettori. Allora sì, che le barzellette non basteranno.

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