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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Ho intervistato Walter Veltroni due volte. La prima quand'era ancora sindaco di Roma, la seconda durante la campagna elettorale del 2008. In entrambe mi colpì l'assoluto distacco dalla realtà. A me, che arrivavo da un intasamento in via del Corso, riuscì a spiegare che dal giorno della sua elezione il traffico nella capitale era migliorato. E, alla vigilia del trionfo di Berlusconi, che il suo Pd era in rimonta, tanto da essere alle spalle dell'avversario. La prima volta pensai che avesse una innata abilità nel mentire, poi capii che non era così. L'uomo crede nelle cose che racconta. Il problema è che quasi sempre ciò che dice non corrisponde alla verità. Prendete per esempio la promessa di mollare tutto, il partito e la vita pubblica, e ritirarsi in Africa. A me lo giurò durante l'intervista in Campidoglio. Peccato che a distanza di sei anni e due sconfitte quel proposito sia stato dimenticato. Intendiamoci: una certa dose di balle è fisiologica negli uomini politici, ma in Veltroni è patologica e, probabilmente, involontaria. Lui è quello che entrò nel Pci ancora filo-stalinista senza essere comunista e con l'intenzione di cambiarlo dall'interno. Dichiarazione che fece morire dal ridere tutti quanti, soprattutto coloro i quali conoscevano le logiche del vecchio partito, nonostante Berlinguer. La straordinaria faccia di tolla di Veltroni gli ha consentito in questi anni di presentarsi di volta in volta come un uomo nuovo anche se è più vecchio, politicamente s'intende, di quasi tutti i leader sulla scena, scegliendo per ogni occasione un volto diverso con cui presentarsi. Prima kennediano, poi clintoniano o blairiano, infine obamiano. I camuffamenti usati nel corso degli anni comunque non gli hanno portato fortuna, visto che Veltroni è in assoluto il politico che come capo dell'opposizione ha collezionato più sconfitte contro Berlusconi: non solo quelle nel periodo  dal 2008 al 2009, che gli costarono la segreteria del Pd. Ma anche le precedenti, tra i 1999 e il 2001, che lo indussero a mollare la guida dei Ds prima della disfatta definitiva, scappando in municipio.  Dall'alto di questi successi ora Walter impartisce lezioni a Bersani sulla conduzione del partito e sulla conquista del consenso. Come finirà è già scritto: con un'altra batosta, che ridurrà ulteriormente lo spazio di manovra della sinistra in questo Paese. A chi fosse sfuggita, segnalo l'osservazione del sondaggista di Fini, Luigi Crespi, secondo la quale nonostante le liti fra il presidente della Camera e Berlusconi e la paralisi del governo, in questi due anni l'area di consenso del centrodestra in Italia è cresciuta, tanto da sfiorare il 52 per cento senza l'Udc. Ciò significa che il bacino del centrosinistra si è ristretto a poco più del 40 per cento, un livello minimo, mai visto prima. Non tutto è merito di Veltroni, ma di sicuro si può dire che lui ha dato un contributo determinante. Ora, facendo la fronda a Bersani, si appresta a completare l'opera.

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