l'Editoriale
di Maurizio Belpietro
Per polemizzare con noi e i pochi altri che dubitano dell'imparzialità dei giudici, ieri la direttora dell'Unità ha scritto che ha molta fiducia nella giustizia. «Mai additeremmo i magistrati al pubblico disprezzo: quando poi ricevono bazooka sulla scrivania ci chiederebbero senz'altro se siamo noi i mandanti». La frase non è limpida, ma se ne capisce il senso: Concita De Gregorio oltre a difendere tutto ciò che promana dai tribunali, risponde all'accusa di aver alimentato un clima d'odio e lo fa prendendo a prestito il caso del procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nei pressi del cui ufficio è stato rinvenuto un lancia missili. Peccato che la signora faccia l'esempio sbagliato, perché, dicendo di voler rispettare le toghe, fa il nome di un pm che l'Unità ha manganellato a dovizia in quanto non amico degli amici di Travaglio. Basta rileggere la raccolta del quotidiano comunista per rendersi conto che Pignatone fino a poco tempo fa era un nemico giurato della redazione guidata da Concita. Sette anni fa, quando ai vertici del quotidiano rosso governava Furio Colombo, Travaglio scrisse un pezzo che già nel titolo prometteva randellate: “Pignatone, a Palermo una toga dalle lunghe ombre”. La sua colpa era di aver soffiato il posto di procuratore aggiunto ai compagni di vacanze di Marco, il quale riesumò la storia personale e familiare del magistrato, definendolo il personaggio più controverso del Tribunale siciliano e riscoprendo vecchie accuse di pentiti già archiviate. Anche Padellaro diede la sua scarica di botte a Pignatone, con un articolo che uscì un paio di settimane dopo quello di Travaglio. L'attuale direttore del Fatto quotidiano scrisse che il nuovo procuratore aggiunto era stato al fianco di Pietro Giammanco, l'ex capo della Procura «protagonista di una brutta stagione siciliana». E, riprendendo anch'egli «le presunte frequentazioni con gli amici degli amici», definì Pignatone un magistrato chiacchierato. Immagino che Concita sbufferà e dirà che non sono affari suoi se l'Unità, in anni in cui lei non ne era a capo, sparava a zero sul pm cui ora hanno recapitato un bazooka. La direttora però deve avere un attimo di pazienza, perché arriviamo sino ai giorni suoi. Il 20 luglio del 2009, prima di partire per le ferie, Travaglio tornò a bombardare Pignatone, accusando lui e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso di aver imboscato la lettera di Provenzano a Berlusconi. Quando l'articolo uscì, De Gregorio era già la numero uno del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e quasi affondato dai Ds: dunque non è vero che Concita ha sempre fiducia nella giustizia, diciamo che lei e i suoi giornalisti hanno fiducia della giustizia a patto che penda dalla loro parte, mentre se sta in equilibrio o appena flette verso destra fioccano accuse e veleni. Naturalmente il giudizio non è definitivo ma ondivago, basta infatti che il pm preso a stangate cambi aria e si trasferisca altrove, ovvero in poche parole smetta di dar fastidio agli amici, ed ecco che può perfino ritornare in auge, soprattutto se fa qualcosa contro Berlusconi oppure, anche involontariamente, può essere usato contro il governo, al fine di dipingerne l'incapacità quando non la disonestà. È ciò che è accaduto al procuratore calabrese, passato dagli attacchi e le accuse, agli altari e gli osanna. Pignatone comunque si consoli, c'è a chi è andata peggio. A Falcone toccò stare nella polvere sino a che morì, poi come solo sanno fare i comunisti e i loro eredi, una volta morto si appropriarono delle sue spoglie. Ancora adesso, in nome suo si combattono battaglie di ogni genere. Naturalmente a condurle sono gli stessi che, quand'era vivo, la battaglia la facevano a lui.