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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Approfittando del bla bla sulla crisi di governo e in attesa che Gianfranco Fini decida cosa vuole per il futuro, se l'uscita di scena o un bis di Berlusconi, mi concedo una divagazione su quanto accade a Milano. Non perché voglia occuparmi di questioni secondarie, bensì perché ciò che sta succedendo nel capoluogo lombardo dà la misura di quanto sta capitando nel resto del Paese. Come è noto, la scorsa settimana si sono tenute le primarie del centrosinistra, cui hanno partecipato quattro candidati i quali rappresentavano altrettante aree dello schieramento progressista. A vincerle è stato Giuliano Pisapia, esponente dell'ala radicale, quella per intenderci guidata da Nichi Vendola. In sé la notizia potrebbe essere archiviata tra le tante che riguardano le beghe tra il Pd e i suoi alleati, ma così non è perché il successo dell'avvocato comunista dà via libera alla candidatura di Gabriele Albertini. Che c'entra l'ex sindaco di Forza Italia con il candidato rosso? Risposta facile. L'attuale deputato europeo del PdL non aspettava altro che una candidatura radicale a sinistra per poi decidere la sua. Non lo ammetterà mai , ma Albertini alle primarie ha tifato Pisapia, e so per certo che alcuni suoi simpatizzanti, pur essendo del PdL, si sono recati ai gazebo per votare il candidato di Rifondazione.  Un esponente comunista contro la Moratti ha poche possibilità di recuperare l'elettorato moderato scontento e dunque l'ex sindaco si prepara a scendere in campo, convinto di intercettare consensi anche a sinistra. A sostenerlo sarebbe una lista civica, cui si assocerebbero Futuro e Libertà, l'Udc, l'Api di Rutelli, e, in segreto, anche il partito di Bersani che, a dar retta all'entourage del futuro candidato, potrebbe optare per la desistenza. Cosa spinge un ex industriale, ai tempi considerato un duro di destra, a un'operazione tanto spericolata? Innanzi tutto il risentimento. Albertini, che come ho detto fa il deputato europeo ed è presidente della Commissione esteri e dunque gira il mondo, si ritiene sottovalutato. Pensa che dopo dieci anni alla guida di una delle principali città italiane il centrodestra gli dovesse qualcosa, per lo meno un posto da attaccante, e invece a sentir lui gliene sarebbe toccato uno in panchina, fra le riserve. A questo si aggiunge un rancore sordo nei confronti di Letizia Moratti, che gli è subentrata, la quale avrebbe  messo da parte molte delle sue scelte, scaricando su di lui anche la responsabilità di certi errori. Insomma, mosso da vecchie ruggini e dall'ambizione, Albertini sogna di far perdere il partito dal quale proviene e del quale in qualche modo ancora fa parte, facendosi sostenere se necessario anche dalla sinistra.  Il caso, seppure confinato in ambiti locali, in qualche modo rappresenta ciò che sta succedendo alla politica di questo Paese. Se persone stimate e apprezzate come l'ex sindaco non si fanno problemi a voltare le spalle ai propri elettori, alleandosi con gli avversari pur di raggiungere il loro obiettivo, vuol dire che le idee ormai sono porte girevoli e non c'è da aspettarsi nulla di buono. Come se non bastasse, da Milano giunge notizia di un'altra giravolta: l'assessore Giampaolo Landi di Chiavenna dopo aver lasciato due mesi fa il PdL per passare a Futuro e Libertà è rientrato alla base. Un'andata e ritorno giustificata dalla presenza in Fli di eccessi carrieristi. La sensazione è però che nel nuovo partito il consigliere ballerino non abbia semplicemente trovato la poltrona che egli riteneva adatta a sé e dunque si sia pentito di aver lasciato la precedente. Perché ho raccontato le storie di Albertini e Landi di Chiavenna, che forse interessano solo chi vive a Milano? Perché in piccolo mi pare rappresentino ciò che sta accadendo su scala nazionale. Più delle idee oggi dominano ambizione e risentimento, sentimenti che oltre al governo rischiano di far saltare per aria il poco rispetto che gli elettori hanno della politica. Poi, cari onorevoli e cari consiglieri, non stupitevi se la gente non vi vota o se vota è solo per  mandarvi a casa.

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