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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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La sinistra è sempre stata capace di mobilitare la piazza. Lo era ai tempi del Pci, lo è anche adesso che quanto resta del grande partito comunista è in disarmo. Nessun stupore dunque che il Pd, cioè l'erede diretto del movimento guidato un tempo da Palmiro Togliatti, Pietro Longo e successivamente Enrico Berlinguer, sia riuscito a riempire San Giovanni, luogo storico ed evocativo per i progressisti e la Cgil. Balli, canti, bandiere, slogan. Una festa per invocare la caduta di Berlusconi, al grido: «È marcio, buttiamolo giù». La coreografia dei cortei e gli striscioni portati in manifestazione insieme ai discorsi dei leader non devono però ingannare. Ovviamente la base del Partito democratico sogna la fine del Cavaliere e sarebbe pronta ad allearsi perfino con il diavolo, cioè un ex missino allievo di un repubblichino come Giorgio Almirante, pur di liquidare il presidente del Consiglio. Ma i dirigenti del Pd, anche se si esprimono pubblicamente in assonanza con i propri militanti, in privato mostrano di pensarla in altro modo. Anche loro vorrebbero liberarsi del Cavaliere e pure loro farebbero carte false per riprendersi il governo. Ma allo stato attuale dei fatti sanno che non c'è alcuna possibilità e anzi temono il precipitare degli eventi, i quali sarebbero disastrosi per il loro partito. In pratica, hanno paura che il braccio di ferro tra Fini e Berlusconi possa concludersi con le elezioni, evento che temono come la peggiore delle sciagure. A differenza di quanto dichiarano dal palco e negli studi televisivi, i capetti del Pd sanno che il voto per loro sarebbe mortale. In caso di consultazione, anche se ottenessero il 25 per cento dei consensi, per effetto dell'attuale legge elettorale il partito di Bersani rischierebbe di perdere quasi la metà dei deputati, scendendo da 195 seggi a 110. Un dimezzamento che sarebbe l'inizio della fine: con meno parlamentari e minori rimborsi elettorali l'attuale struttura del partito sarebbe impossibile da mantenere e per il Pd si renderebbe necessaria una drastica dieta. Le elezioni pensionerebbero metà classe dirigente del partito, smantellando gran parte della macchina organizzativa del Pd. Pur sparando a zero contro Berlusconi quando sono in pubblico, molti funzionari di Bersani in privato sperano che martedì il Cav ce la faccia a restare in sella. Non perché siano diventati improvvisamente filo premier, ma solo per scongiurare la catastrofe di doversi cercare un lavoro a cinquant'anni. Alla faccia di chi ieri è sceso in piazza ed ha sfilato per le vie di Roma inneggiando alla fine del presidente del Consiglio, martedì, quando se ne decideranno le sorti, non è escluso che ad alcuni esponenti della sinistra venga un improvviso mal di pancia. In fondo, non c'è niente di meglio di una bella malattia per salvare la faccia ma anche le terga.

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