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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Ci sono due scuole di pensiero a proposito delle gaffe di Berlusconi. Per la prima, il Cavaliere è un gaffeur e basta. Ogni tanto gli scappa detto qualcosa, ma poi è costretto a rimangiarsela perché Gianni Letta gliela fa rimangiare. Per la seconda, al premier non sfugge un bel niente e dice proprio quel che vuole dire, salvo poi smentire per esigenze di copione, ma intanto le frasi restano. Nell'uno o nell'altro caso, sta di fatto che ciò che Silvio fa sapere per poi negarlo è ciò che in realtà pensa. Del resto, sono certo che a proposito dei giudici e di Fini, il Cavaliere abbia detto esattamente quel che aveva in testa. Da tempo ritiene che il presidente della Camera sia un traditore in combutta con i magistrati intenzionati a eliminarlo. Già lo sospettava, ma quando un fuorionda di una tv locale beccò Fini a parlare con compiacimento dei guai giudiziari del Cav con il procuratore di Pescara, il dubbio si è trasformato in certezza. Berlusconi è convinto che, pur di farlo fuori, l'ex alleato userebbe qualsiasi mezzo, compreso l'aiuto dei pm. In fondo è quel che è successo, altrimenti non si spiegherebbe l'improvviso irrigidimento sul legittimo impedimento e sul lodo Alfano. Fino a qualche tempo fa, Fini era deciso a votare i provvedimenti, anzi lui stesso s'era scagliato contro il protagonismo di alcuni magistrati, mostrando di voler tagliare loro le unghie. Poi all'improvviso ha fatto un'inversione a U. Di qui il rovello del Cavaliere, il quale pensa che il presidente della Camera in questo modo voglia prendere due piccioni con una fava. Assecondando i giudici fa uno sgambetto a Silvio, ma probabilmente anche un piacere a se stesso, evitando che qualche toga ficchi troppo il naso nei suoi affari. Già, perché questa è la seconda parte del discorso, smentito, del premier. Fini non solo trama con i pm contro di lui, ma dai giudici  è pure protetto. E anche qui non è poi che Silvio abbia fatto queste grandi rivelazioni. Basta guardare come la Procura di Roma si è mossa con l'inquilino di Montecitorio e vedere quel che fanno altri uffici giudiziari quando c'è di mezzo il Berlusca per capire che si usano due pesi e due misure. Sull'affare di Montecarlo i procuratori hanno trattato il signor Tulliani con i guanti bianchi, evitando di far sapere la sua iscrizione nel registro degli indagati e rinviando a data da destinarsi la decisione sull'archiviazione o l'incriminazione. La protezione probabilmente si è estesa anche ad altre faccende, tipo, per esempio, gli appalti Rai alla suocera e quelli pubblici alla cricca degli immobiliaristi. Né in un caso né nell'altro ai procuratori è venuta la voglia di indagare. Nonostante le testimonianze di un ex amico di Fini sulle pressioni subite per far lavorare il cognato nella tv di Stato, i pm hanno evitato di sfiorarlo anche solo con un dito. Stessa cosa con le intercettazioni in cui compare la segretaria personale del presidente della Camera: alle toghe non è neppure venuto in mente di associarla all'alta carica istituzionale. Sarà per questo che contro ogni sollecitazione, quella di migliaia di lettori di Libero ma pure di molti suoi collaboratori, Fini non si dimette, ma addirittura dice che la poltrona è la sua. Forse ha solo paura di perderla e con essa teme di perdere anche la simpatia delle procure. Già, come è noto, quando uno non serve più, certi privilegi li perde. Comunque, se sono come l'ultima, il Cavaliere continui pure a fare gaffe. Ai suoi elettori non dispiacciono.

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