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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Oggi gli studenti saranno di nuovo in piazza, pare per protesta contro la riforma dell'Università. Scrivo pare perché ho la sensazione che molti di loro non conoscano la legge che contestano. Per lo meno non siano informati che il nuovo ordinamento non toglie risorse «al mondo della conoscenza», semmai le restituisce. Non c'è alcuna negazione del diritto allo studio, né lo smantellamento delle facoltà pubbliche, come scrivono e urlano nei cortei. Al contrario, le misure puntano ad aumentare la qualità dell'insegnamento e per questo motivo dovrebbero essere guardate con favore dagli studenti, perché rimettono un po' d'ordine negli atenei, stabilendo nuove regole per salire in cattedra e altrettante per rimanerci. Non pretendo ovviamente che i giovani in piazza mi credano o credano a Mariastella Gelmini: sono stato giovane anch'io e so che da ragazzi si diffida di ogni cosa, in particolare del buon senso. Se non vogliono ascoltare ciò che dice la ministra o il giornalista, almeno prestino attenzione al panico che sta contagiando certi baroni e se ne chiedano le ragioni. Perché, per esempio, in tutta fretta in un paio di università romane sono stati fatti salire in cattedra i parenti di noti professori? All'Università Sapienza, alla vigilia dell'approvazione della riforma, il figlio del rettore Luigi Frati, a 36 anni, è diventato professore ordinario. Già, in un paese normale sarebbe giudicato sgradevole diventare docente dove comanda papà, ma nel caso in questione nell'ateneo insegna anche la sorella. E fino a poco tempo fa, prima di andare in pensione, c'era pure la mamma. Insomma, un'università in famiglia. Ovviamente tutti i concorsi saranno regolari, anche quello con cui la professoressa di lettere del liceo è diventata ordinaria in storia della medicina, ma forse non sta tanto bene, almeno per l'immagine e l'autorevolezza dell'università. Stessa storia a Tor Vergata. Sul filo di lana, ovvero prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, lunedì è stata assunta come professore associato la nuora del rettore, ma nello stesso ateneo insegna pure il figlio, il quale ha ereditato il posto che era del padre, quasi che l'insegnamento di una materia sia da trasmettere, come in una dinastia. Vi dice nulla, cari studenti, tutto ciò? Se la legge fosse quel disastro che dite, i baroni si affretterebbero ad approfittare delle ultime possibilità di far nominare i parenti? Oppure non ve ne importa nulla che a salire in cattedra non siano docenti che hanno vinto un concorso nazionale e vi accontentate che a insegnarvi ci siano gli eredi dei prof.? Può darsi che vi stiano bene gli insegnanti e anche i loro cari, ma se così è perché lamentarsi poi se non si trova posto e si finisce disoccupati? È vero, molti giovani non hanno lavoro e parecchi, anche laureati, sono costretti ad andare all'estero. Ma siamo sicuri che l'università, così com'è, li aiuti a trovare l'impiego? Io non credo. Io penso che in molti casi aiuti chi il posto ce l'ha a conservarlo, anche se non possiede i requisiti per ricoprirlo, mentre ad altri lo nega. E andare in piazza, rovesciando e incendiando le auto come è successo in questi giorni, non cambierà le cose. Meglio studiare e non farsi fregare dai cattivi maestri. P.s. L'ordine dei giornalisti di Roma e l'Associazione stampa romana ieri hanno avvertito i colleghi che si occupano delle manifestazioni degli studenti, invitandoli a «esercitare con un particolare scrupolo professionale il diritto-dovere di cronaca», al fine di assicurare un'informazione rigorosa, serena e puntuale. Che vuol dire? Che i cortei non si possono criticare? Oppure che chi sgarra ed eccede nel contestare i contestatori rischia la sanzione? Urge chiarimento: non vorremmo che in nome delle libertà di stampa s'imponesse il bavaglio studentesco.

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